Più strade? E le aree protette si giocano la biodiversità

1773
caccia cartucce inquinamento
Tempo di lettura: 3 minuti

Uno studio nell’isola di Bioko conferma quanto già si sapeva a proposito dell’accessibilità nei parchi. I rischi sono per le specie a tutto vantaggio dei bracconieri

L’aumento dell’accessibilità delle aree protette determina la perdita di biodiversità e l’aumento della caccia di frodo. Una riflessione che può sembrare banale ma non lo è se consideriamo la deriva funzionale delle aree protette in Europa, ed in particolare in Italia, sempre più orientata a soddisfare i vari tipi di turismo. Possiamo dire che alla visione, frutto dell’urbanizzazione, della protezione di spazi naturali per la tutela del paesaggio, delle risorse naturali e per il godimento estetico, si sta sempre più sostituendo quella della frequentazione delle aree protette in tutti i modi, in ogni tempo ed in ogni luogo. La digitalizzazione e la diffusione del segnale per telefoni e dati sembra essere il filone aureo per i finanziamenti pubblici nelle aree più remote. Scelte che hanno valenza positiva e negativa.

Un recente studio pubblicato su «Frontiers in Conservation Science» conferma i pericoli che l’apertura di nuove strade determina nelle aree protette. In questo caso nell’isola di Bioko, uno dei più importanti siti per la conservazione dei primati africani, nella Gran Caldera Scientific Reserve (Gcsr) in Guinea equatoriale.

La ricerca, condotta da un gruppo accademico formato da statunitensi, inglesi e della Guinea equatoriale, ha rilevato come «il completamento nel 2015 di una nuova strada che taglia in due la Riserva Scientifica della Gran Caldera (GCSR), dove il terreno accidentato e la mancanza di infrastrutture un tempo fungevano da barriera naturale, ha ulteriormente minacciato quest’ultima roccaforte per i primati di Bioko».

Il metodo utilizzato è stato il monitoraggio acustico passivo per studiare i fattori che influenzano i modelli di caccia all’interno della riserva naturale attraverso il rilevamento automatico dei suoni dei fucili. «Dieci sensori acustici — è scritto nello studio — sono stati collocati in luoghi che variavano in base all’eterogeneità del terreno, alla distanza dalla nuova strada, agli insediamenti umani, ai campi di ricerca […] e all’altitudine. I sensori hanno registrato in continuo tra gennaio 2018 e gennaio 2020, raccogliendo 2.671 site-day di audio. In totale sono stati rilevati 596 colpi di arma da fuoco, anche nelle aree più remote. C’erano differenze significative nel tasso di caccia tra le aree […]. Abbiamo anche riscontrato — prosegue lo studio — che nel 2019 ci sono stati significativamente meno spari rispetto al 2018 […]. La modellazione dell’occupazione ha mostrato che la caccia aumentava con la diminuzione dell’eterogeneità del terreno e la diminuzione della distanza da strade e villaggi; ma diminuiva con la crescente vicinanza ai campi di ricerca. Questi risultati hanno dimostrato che l’aumento dell’accessibilità ha aumentato la caccia ai primati in Gcsr, esacerbata dall’apertura della nuova strada. Abbiamo anche dimostrato — aggiungono i ricercatori — che la presenza della ricerca era efficace nel ridurre la caccia ai primati. A meno che non vengano attuati rigorosi interventi di conservazione, inclusi posti di blocco stradali, aumento del biomonitoraggio e pattuglie di sorveglianza anticaccia e un divieto imposto sulle armi da fuoco in tutta l’isola, la Gcsr vedrà una significativa diminuzione della densità dei primati nel prossimo decennio, inclusa la potenziale estinzione del Colobo rosso di Pennant (Piliocolobus pennantii Waterhouse) in pericolo critico».

I risultati di questa ricerca confermano quel che da tempo si sostiene scientificamente e cioè che rendere le aree protette maggiormente permeabili al traffico veicolare determina pericoli incombenti di degradazione degli ecosistemi e di perdita di biodiversità. Ce ne siamo occupati quando è stata proposta la realizzazione di 48 chilometri di piste tagliafuoco in piena Foresta Umbra nel Parco nazionale del Gargano. Un folle progetto anti incendi boschivi nelle faggete vetuste tra le più importanti del mondo, peraltro patrimonio Unesco, per ora accantonato ma sempre a rischio «riesumazione» in presenza di finanziamenti sciagurati.

 

Fabio Modesti