Lesina e Varano, lagune generose ma violentate e dimenticate

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vongole
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֎In Puglia, due splendide lagune che da tempo immemore regalano una ricchezza di pescato tanto da caratterizzarsi nella produzione a livello non solo nazionale. E anche poste in una invidiabile posizione paesaggistica però pessimamente gestite da creare annuali problemi ambientali֎

Il paesaggio della Puglia è ornato da due bellissime lagune, tra le più grandi d’Italia. Malgrado siano vicine tra loro, Lesina è molto diversa da Varano. La prima non supera 1 m di profondità ed è circondata da un territorio piano; la seconda è incastonata nelle alture del Gargano e le sue acque sono più profonde raggiungendo 4-5 m.

Da secoli Lesina è famosa per le sue anguille le cui carni sapide superano quelle di qualunque altra provenienza, una vera eccellenza meritevole di Slow Food. Oltre alle anguille si producono orate, spigole e cefali vari, pesci marini che entrano in laguna dalle foci Acquarotta e Schiapparo perché attratte dall’abbondante pastura. Le acque lagunari sono più ricche di quelle marine e possono produrre ogni anno anche molto di più di un quintale di pesce pregiato per ettaro.

Questa straordinaria pescosità nasce dalla mescolanza della componente marina con l’apporto fecondante delle grosse sorgenti d’acqua dolce di Caldoli/S. Nazario, Lauro, e Longo sulla sponda sud ed est. Tuttavia, una laguna lasciata a sé stessa non sempre offre le condizioni migliori per la pescosità per cui nei secoli l’uomo ha imparato a gestire l’ecosistema il che consiste nel controllare l’ingresso della componente marina e l’apporto d’acqua dolce da fiumi e sorgenti.

La gestione unitaria della laguna non c’è più

A Lesina questo tipo di gestione una volta si faceva, ora non più. La premessa sine qua non per avere questa gestione è la presenza di un corpo di pescatori organizzato in collettiva e disciplinato da precise norme. In un passato lontano, quando la laguna era padronale, questa gestione unitaria esisteva. In tempi più recenti il Comune ha tentato di coordinare il settore ma le cose si sono un poco alla volta disgregate completamente. Nessuno apre e chiude le due foci marine nei periodi giusti; l’incile marino di Acquarotta è diventato un porticciolo abusivo per vongolare comportando tra l’altro la distruzione dell’unicum geologico di Pietre Nere; lo scolo libero di acqua dolce nella Sacca Orientale ha provocato lo sviluppo di un cannucceto asfittico che ha precluso di fatto 500 ettari alla pesca. E si potrebbe continuare.

A Varano non circola acqua

Varano ha una storia diversa. Negli anni 1960 vi si è stabilita la mitilicoltura importata da Taranto e da allora si è talmente sviluppata da dover espandersi anche nel mare antistante. Negli anni 1970 è stata sperimentata l’ostricoltura (Crassostrea gigas) con esito assai incoraggiante. Nella seconda metà degli anni 1980 è stata introdotta la vongola verace filippina (Tapes philippinarum) che ha attecchito bene, dando vita ad una pesca fruttuosa. Anche Varano ha due foci marine, Capoiale e Foce Varano, e un copioso apporto di acque dolci dalle sorgenti carsiche di S. Nicola, Ospedale, Bagno e Irchio, ecc.

Ma come Lesina anche Varano ha il suo problema ecologico. D’estate le acque quasi sempre danno luogo a delle fioriture di microalghe esiziali per la molluschicoltura. Il fenomeno nasce forse dal ristagno dell’enorme massa d’acqua del bacino. La debole marea mediterranea che entra dalle due foci non riesce in sei ore a spingere il flusso marino fino nel corpo centrale del bacino provocando un ricambio. L’acqua che entra ad alta marea è la stessa che esce a bassa marea. Un’idea per ovviare a questo fenomeno potrebbe essere l’installazione di porte vinciane alle foci, collocandone una a Capoiale per il solo ingresso dell’acqua, ed una Foce Varano per la sola uscita. Forse così si riuscirebbe a far giungere acqua marina fresca fino in centro del bacino e a interrompere il ripetersi delle alghe nocive.

Istituzioni pubbliche per politiche veramente green

La Capitanata è dotata di un consorzio di bonifica il più grande d’Italia con uno staff di ingegneri idraulici di tutto rispetto, e a Lesina esiste dal 1968 un istituto del Consiglio nazionale delle ricerche (Irbim) specializzato nello studio della biologia delle acque di transizione. Con l’obiettivo del recupero della produttività biotica e della biodiversità delle due lagune questi enti potrebbero predisporre e realizzare un progetto di grande respiro per ognuna delle due. La pesca e l’acquacoltura appartengono al settore primario dove si producono proteine animali per consumo umano nel modo economicamente ed ecologicamente più sostenibile in assoluto; più green di così non si potrebbe.

Paolo Breber