Dieci impianti eolici di fronte alle coste pugliesi

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Potrebbero essere installati con sistemazione per file successive e con distanze dalla costa variabile, fino alle 12 miglia. C’è da chiedersi perché alcuna valutazione di impatto e di incidenza cumulativa di questi impianti sia stata approntata nonostante le chiare indicazioni e le prescrizioni normative dell’Ue

Se si considera anche la centrale eolica per la produzione di energia di fronte alla costa di Termoli, 54 torri da 3 MW ciascuna per un totale di 162 MW di energia elettrica da produrre, proposta da EffEventi S.r.l., sono dieci gli impianti eolici che potrebbero essere installati davanti alle coste adriatiche pugliesi (e molisane). All’incirca uno ogni 40 chilometri. Con sistemazione per file successive e con distanze dalla costa variabile, fino alle 12 miglia. Per ora oltre 550 torri alte tra i 140 ed i 200 metri con rotori da 111 metri in su, in relazione all’altezza della torre.

Una vera e propria cortina di ferro (in realtà di acciaio e di carbonio, di terre rare e metalli critici, con quantità enormi di lubrificanti ed altri inquinanti) che taglierà in due longitudinalmente l’Adriatico. Una cortina di ferro in una «vasca da bagno» (enorme ma pur sempre tale), come viene definito il bacino di mare che divide l’Europa occidentale da quella orientale, dai Balcani.

Dalla terra al mare, quindi, le cortine di ferro continuano a contrassegnare le vite ed i destini europei da questa parte del Continente.

V’è da dire che due dei dieci impianti proposti sono stati bocciati in sede di valutazione d’impatto ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente, ora della Transizione Ecologica (MiTe). Si tratta di quello ipotizzato nel golfo di Manfredonia (195 MW di potenza complessiva data da 65 aerogeneratori nel mare antistante i Comuni di Mattinata, Monte Sant’Angelo, Manfredonia, Zapponeta, Margherita di Savoia) e di quello che sarebbe dovuto sorgere davanti a Torre S. Gennaro, Comune di Brindisi (150 MW di potenza complessiva data da 50 aerogeneratori da 30 MW ciascuno).

Ambedue i progetti sono stati presentati dalla TreviEnergy S.p.A., una società di Cesena, dell’omonimo gruppo ora controllato da Cassa Depositi e Prestiti attraverso la società investitrice CDP Equity, specializzata in grandi opere civili ed industriali. Del progetto relativo al golfo di Manfredonia, tuttavia, si dice che sarà ripresentato a breve.

Gli ultimi impianti proposti in ordine di tempo, ma per i quali non è stata ancora attivata la procedura di valutazione ambientale presso il Mite, sono quelli della Rei (Recupero Ecologico Inerti) di Cavallino di Lecce, azienda specializzata in particolare in bonifiche da amianto e non certo in opere off-shore (impianto eolico galleggiante di 60 aerogeneratori con potenza complessiva 840 MW oltre le 12 miglia di fronte ai Comuni di Trani, Bisceglie, Molfetta e Bari) e dalla Hope s.r.l. di Bari (impianto da 80 aerogeneratori per potenza complessiva di 600 MW da Barletta a Bari per un’estensione di 400 ettari di superficie marina).

Quest’ultima è una start up (nata dalla fusione di società della famiglia Garofano, attiva nel settore della chimica e della produzione di energia da fonti rinnovabili, di Silvio Maselli, assessore alla Cultura del Comune di Bari dal 2013 al 2014, e del produttore cinematografico Daniele Basilio) impegnata nell’ambizioso e complicato progetto di alimentare con l’idrogeno verde (ottenuto da energia prodotta da fonti rinnovabili) il sistema di trasporto pubblico locale di Taranto ed il cui amministratore è il barese Fabio Paccapelo. Questo impianto avrebbe il placet della Regione Puglia.

In definitiva, un fronte di turbine eoliche che comincia dal Molise o, se si preferisce, sotto la testa del Gargano e finisce al tacco d’Italia con pochi varchi tra gli impianti. Alcuni naturalisti sostengono che, tutto sommato, meglio che questi stiano in mare anziché sulla terraferma producendo danni all’avifauna selvatica. Ma anche il loro impatto sulle rotte di migrazione in mare aperto non è secondario: basti pensare al Canale d’Otranto. C’è infine da chiedersi perché alcuna valutazione di impatto e di incidenza cumulativa di questi impianti sia stata approntata nonostante le chiare indicazioni e le prescrizioni normative dell’Ue. Sarà sempre merito del pensiero unico sulle rinnovabili?

 

Fabio Modesti