Lhc, domani il test

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Start up per il potente acceleratore europeo del Cern, il laboratorio europeo che deve molto al fisico italiano Edoardo Amaldi

Si stanno «scaldando» i potenti motori del Large Hadron Collider (Lhc) e per i fisici di tutto il mondo sta per avere finalmente inizio uno straordinario e lungamente atteso discovery game.

Lhc è infatti il più grande e complesso strumento scientifico che l’uomo abbia mai avuto a disposizione per conoscere la materia. Riprodurrà in laboratorio lo stato della materia presente nell’Universo «bambino» di 14 miliardi di anni fa, pochi istanti dopo il Big Bang: un Universo su cui faranno luce i sofisticati rivelatori Atlas, Cms, Lhcb e Alice (il cui responsabile nazionale è il barese Eugenio Nappi).

/> La sfida del nuovo acceleratore di particelle del Cern di Ginevra si gioca tanto sul terreno della Scienza quanto su quello della Tecnologia: l’impresa ha richiesto infatti avanzamenti impressionanti (in campi che vanno dalla superconduttività alla microelettronica, dall’ultravuoto all’ultrafreddo, dall’informatica ai materiali, alle nanotecnologie), da cui scaturiranno nei prossimi anni utili applicazioni in settori strategici come l’energia, l’elettronica, la medicina, l’ambiente, le reti, le telecomunicazioni.

L’inaugurazione ufficiale avverrà il 21 ottobre alla presenza dei capi di Stato europei, ma un test con la prima circolazione di protoni è già prevista per domani: in questa specialissima occasione, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) apre le sue porte, consentendo alla stampa di seguire l’evento in diretta dalla sua sede di Roma e da quella di Bari (aula A del Dipartimento di Fisica, Campus, dalle ore 9).

Lhc rappresenta un formidabile risultato della ricerca europea (anche se alla sua realizzazione hanno partecipato migliaia di scienziati di cento paesi diversi), a cui la Fisica italiana, l’Infn e l’industria partner hanno offerto contributi fondamentali.

Il ruolo dell’Italia

Ma il ruolo chiave dell’Italia comincia già a metà del secolo scorso, come ricorda Francesco Romano, Direttore del Dipartimento Interateneo di Fisica: «A questo proposito, c’è un’altra data importante, che non deve passare sotto silenzio nel clamore generale che accompagna la nascita dell’acceleratore. Il 5 settembre ricorre infatti il centenario della nascita dello scienziato che più di chiunque altro ha tracciato la strada del Cern e aperto la strada ad una Fisica moderna: una Fisica che, per essere vincente e competitiva, non può che avere la massa critica della dimensione europea. Questo scienziato ?visionario? (nel senso british del termine, che significa qualcosa più che lungimirante) era italiano, sarebbe bene ricordarlo soprattutto ai più giovani, si era formato alla scuola di Enrico Fermi (dunque, un ragazzo di via Panisperna) e si chiamava Edoardo Amaldi».

Non c’è dubbio che lo stesso Lhc sia l’ultima frontiera di questo lungo processo iniziato, appunto, nei primi anni 50: in quegli anni di entusiasmo e spirito d’avventura, Amaldi capì quanto forse era chiaro agli americani, ma ancora molto lontano dalle limitate ambizioni europee che, anche in fatto di ricerca, non andavano oltre l’orizzonte ristretto e provinciale dei confini nazionali. Amaldi capì, cioè, che il progresso scientifico richiedeva un salto di qualità tecnologico, e che era indissolubilmente legato a nuovi potenti e sofisticati strumenti: troppo potenti, sofisticati


per una distanza equivalente al tragitto andata-ritorno dalla Terra al pianeta Nettuno (oltre 10 miliardi di km);

raggiunge nelle collisioni un’energia di 14 tera-elettronvolt (10.000 miliardi di volte superiore all’energia dei fotoni emessi da una lampadina);

ottiene nel fascio di particelle una luminosità di 1034 per centimetro quadrato al secondo (10 milioni di miliardi di miliardi di miliardi);

raggiunge un vuoto confrontabile a quello dello spazio siderale e la temperatura più fredda dell’Universo;

nei 27 Km dell’anello, guida la traiettoria delle particelle attraverso 1.700 magneti superconduttori che funzionano a temperature prossime allo zero assoluto (271 gradi centigradi sotto zero): Lhc è il luogo più freddo dell’Universo;

i suoi magneti hanno una lunghezza totale di 24,5 km e una massa complessiva di oltre 40.000 tonnellate;

nelle collisioni, quando i protoni hanno velocità relativistiche, il campo magnetico dei suoi dipoli è 200.000 volte più intenso del campo magnetico terrestre (oltre 8 tesla);

il suo sistema di ?collimazione? del fascio garantisce una straordinaria efficienza: le perdite non devono superare le 2 particelle su 10.000.

Ma c’è un altro record di Lhc che val la pena di essere sottolineato: la presenza di molte ricercatrici provenienti da tutte le parti del mondo. È lontano l’anno 1955, quando i fisici dell’esperimento PS (Protonsincrotrone) battezzavano il primo magnete col nome dell’unica donna del gruppo. Va anche crescendo la schiera delle scienziate, anche giovani, che raggiungono risultati importanti, ricoprono livelli di responsabilità e godono di grande notorietà nel panorama internazionale.
Tra queste, numerose ricercatrici italiane: a loro è dedicata la mostra «Donne alla guida della più grande macchina mai costruita dall’uomo», prodotta dal Disti, che in questi giorni inizia il suo lungo tour espositivo e approderà a Bari nel periodo dell’inaugurazione di Lhc.

(Fonte Disti, Distretto dell’Informazione Scientifica, Elisabetta Durante, elisabettadurante@gmail.com)