La sfida dell’educazione ambientale in città

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Dal 13 al 15 ottobre si è tenuto a Roma il Convegno «La sfida dell’educazioneambientale in città – Metodi ed esperienze di didattica e turismo nei parchi urbani e periurbani», organizzato da Aigae – Associazione Italiana Guide Ambientali Escursionistiche -, RomaNatura ? Ente regionale per la gestione del sistema delle aree naturali protette nel Comune di Roma – e Arp – Agenzia Regionale Parchi Regione Lazio.

Tra gli enti e le istituzioni presenti anche Arpat: il Direttore generale Sonia Cantoni ha partecipato ai lavori della sessione su «Educazione ambientale e Agenda 21: città sostenibili».
Numerosi ed interessanti i progetti esposti durante i 3 giorni; tra questi, quello ? ormai «storico» – de «La città dei bambini», presentato da Francesco Tonucci dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del Cnr. Riportiamo
di seguito alcune suggestive considerazioni tratte dalla
relazione di sintesi.

La città e il bosco
Una volta avevamo paura del bosco. Eravamo sicuri in città, luogo dei nostri giochi, delle nostre amicizie. Oggi si sogna il bosco, la natura, l’ambiente. Abbiamo paura della città, aggressiva e insicura.
La città ecosistema
La città nasce come ecosistema complesso: intorno ad una piazza, spazio condiviso, vi erano strutture complementari; ogni parte aveva bisogno delle altre. La città era luogo di incontro e di scambio (il passeggio e il mercato). Non si
vedeva l’ora di uscire di casa. Oggi la città tende alla separazione e alla specializzazione: ogni parte cerca di essere autosufficiente (il Centro commerciale, il Campus, l’Ospedale). Non si deve l’ora di tornare a casa. La casa
è come una città.
La città è per gli adulti
La città ha scelto come modello un cittadino maschio, adulto, lavoratore, ne ha assunto le necessità, ha risposto alle sue richieste. La velocità, la fretta hanno sostituito il passeggio, l’incontro. Per l’adulto muoversi significa spostamento,
esce per arrivare. La città si è adattata alle esigenze
dell’automobile: parcheggi, tangenziali, autostrade, stazioni di
servizio, segnaletica stradale. Le strade sono diventate così «autostrade», sono state abbandonate dai pedoni, sono diventate pericolose. Le città sono senza vecchi, senza portatori di handicap, senza bambini.
I bambini hanno perso la città
Il bambino paga un prezzo molto alto a questa città: non può uscire da solo, non può vivere l’avventura, esplorare, scoprire, rischiare. Rischia però obesità, pigrizia, ansia; non può giocare e il suo sviluppo è compromesso.
La città ha perso i bambini
La città paga un prezzo molto alto per la perdita dei bambini:
manca un potente deterrente di fronte alla prepotenza della auto, mancano ostacoli all’inquinamento, mancano spinte verso la cooperazione e la solidarietà.
La politica dei servizi non basta «Non basta più dare ai bambini i servizi, occorre ridare loro le città» (Prodi, 1997)
Un tempo di crisi
Siamo alla prima generazione che non si fa carico delle generazioni successive. Dice un capo irokese:
«Noi guardiamo avanti perché uno dei primi mandati assegnati
a noi, che siamo i capi, è di garantire che ogni decisione da noi presa tenga conto della prosperità e del benessere della settima generazione a venire, e questo è il fondamento delle nostre decisioni in assemblea». I nostri nonni emigrarono per il nostro benessere. Noi stiamo sprecando questi benefici.
I bambini ci possono salvare
Se riteniamo necessario e urgente un cambiamento radicale, se siamo convinti che noi adulti non ce la facciamo (non vogliamo), i bambini possono aiutarci.
Il mandato del sindaco di Roma:
«Ho voluto un Consiglio dei bambini perché ho bisogno del
vostro aiuto e dei vostri consigli. Da oggi lavoreremo insieme per cambiare la città». I bambini rappresentano l’altro, chi non ha potere, ne rappresentano le esigenze e le richieste.
Quale è la città che chiedono i bambini?
Una città aperta, percorribile, uno spazio pubblico a disposizione di tutti cittadini. Una città dove tutti possono uscire di casa, muoversi con sicurezza. Una città bella,
nella quale valga la pena muoversi per vedere, scoprire, incontrarsi. Per il bambino muoversi significa compiere un percorso nel quale tutti i punti sono importanti. Il Piccolo principe: «Se avessi 53 minuti da spendere, camminerei
adagio, adagio, verso una fontana». Una città sicura, non perché difesa, ma perché condivisa, frequentata, occupata e preoccupata, quindi solidale.