La cosiddetta scoperta della vita artificiale

1393
Tempo di lettura: 5 minuti

Craig Venter non ha scoperto la vita artificiale e non ha compiuto neanche un progresso scientifico fondamentale, come quello della pecora Dolly. Al contrario, a paragone della nascita della pecora Dolly, la nascita del protobatterio di Venter sta appunto nella proporzione in cui un protobatterio sta con un ovino, nella scala filogenetica

I giornali hanno riportato in questi giorni con grande evidenza la cosiddetta scoperta della vita artificiale, annunciata da Craig Venture, il biotecnologo statunitense e uomo d’affari che con la sua società aveva già annunciato la prima sequenziazione completa del genoma umano.

Mentre il precedente annuncio era risultato esagerato, dettato più che altro dalla volontà di annunciare la sequenziazione qualche giorno prima che il programma di ricerca pubblica americano riuscisse nell’impresa, e perciò l’annuncio era stato dato pur rimanendo molti errori nella sequenziazione, alla cui correzione si sta lentamente provvedendo, l’annuncio presente è affatto immotivato quanto è immaginifico e suggestivo di magnifiche sorti e progressive.

Bene ha fatto Obama a costituire immediatamente una commissione di inchiesta.

Craig Venter non ha scoperto la vita artificiale e non ha compiuto neanche un progresso scientifico fondamentale, come quello della pecora Dolly. Al contrario, a paragone della nascita della pecora Dolly, la nascita del protobatterio di Venter sta appunto nella proporzione in cui un protobatterio sta con un ovino, nella scala filogenetica.
Dunque cosa avrebbe fatto, essenzialmente, Venter?
Avrebbe enucleato una cellula procariotica (quella di un batterio) prendendo a prestito presumibilmente la tecnica messa a punto da Ian Wilmut, che l’inventore aveva applicato a una cellula ben più complessa, una cellula eucariotica, e avrebbe inserito nella stessa un segmento di Dna batterico sul quale aveva innestato alcune sequenze di basi azotate, mattoni del Dna e dell’Rna.
Di conseguenza, ciò che veramente ha fatto Craig Venter è produrre un clone di batterio, per giunta, geneticamente modificato.

Detto così è ancora inquietante ma non è originale.

Si tratta dunque di una «bufala» (nel senso di raggiro, non di animale superiore, geneticamente modificato o no, dalla clonazione del quale Craig Venter risulta lontano anni luce): al fine apparente di spacciare un risultato assai arretrato, rispetto a quello della pecora Dolly che pure precede di 14 anni, e che è basato su una sostanziale incomprensione di cosa è la vita e come si origina.
Il bluff mediatico si basa su pregiudizi pseudoscientifici, largamente diffusi (a quanto pare anche dallo stesso Craig Venter): il Dna, avrebbe detto, è il software della cellula…

Non è così: il Dna è semmai il firmware, e gran parte del software risiede altrove, soprattutto nel citoplasma.

In realtà sia Ian Wilmut che Craig Venter, così come tutti gli altri clonatori, si affidano a questo software (che non conoscono e che è per loro addirittura impredicabile) perché esso ripari i loro errori e dia luogo, malgrado tutto, a una vita, una volta che uno xenoDNA sia  innestato in una cellula vivente. È per questo che Craig e i suoi hanno osservato, senza evidentemente spiegarselo, che ad ogni ciclo riproduttivo il clone di batterio da loro prodotto «si ottimizza, diventa un organismo diverso» (Pimpinelli, sulla stampa il 21 maggio 2010) ovvero il suo Dna si modifica.
Ohibò! Ma questa non è una eresia, nella asfittica concezione di Craig Venter e seguaci (compresi quelli italiani)?

Se il Dna si ottimizza, vuol dire che l’interazione con il citoplasma ospite ne determina una modificazione. Ma ciò non contraddice l’ipotesi che il Dna costituisca (tutto) il software di base della cellula?
Ammetterlo però sarebbe ammettere che parlare di vita artificiale, a proposito del batterio di Venter, è una castroneria. Si tratta al più di una replica (riduttiva ed epigonica) della clonazione di Wilmut, nella quale, questo sì, sarebbe stata impiegata una nuova biotenoclogia «computer aided», per legare ordinatamente le basi azotate su un troncone di Dna.
Eppure Craig Venter (se fosse un biologo, oltre che un biotecnologo) avrebbe dovuto sapere che il Dna non è il software della vita, anzi non è l’unico codice presente nella cellula.

E forse lo sa, altrimenti perché usare una cellula enucleata per impiantare il suo troncone di Dna, invece di usare un liposoma? In quel caso sì, avrebbe potuto parlare di vita artificiale.

In ogni caso egli avrebbe dovuto saperlo e ammetterlo, perché il fatto che il Dna non sia l’unico codice della vita è stato provato erga omnes da quel grande scienziato, mai imbroglione, anzi imbrogliato (da un collega, Max Gallo, supportato dallo stesso ambiente scientifico-finanziario che supporta Venter), che è Luc Montagnier, premio Nobel della medicina 2008.
Si vada a leggere, Craig Venter, i due articoli dello scienziato francese e dei suoi collaboratori, apparsi sulla rivista cinese Interdisciplinary Life Science: Computer Science, nel 2009. Capirà così che il software della vita non è solo costituito da un codice chimico, contenuto nel Dna, ma è soprattutto un codice elettromagnetico, che risiede, nella cellula, esternamente al Dna: ecco perché il suo clone geneticamente modificato (male) di micobatterio migliora riproducendosi!

Craig Venter avrebbe potuto capirlo se fosse un attento lettore di scienza, così come sembra esserlo di fiction (è evidente, proprio per l’accostamento che egli magnifica tra computer e sequenziazione delle basi del Dna, come Craig Venter si serva del mondo immaginifico di Jurassic Park, come di un mito collettivo a cui attingere credibilità, consenso ed entusiasmo, per la sua pubblicità ingannevole). Avrebbe dovuto capirlo fin dalla comparsa sulla rivista russa «Biofizik», nel 1994, dell’articolo di Novikov e Zhadin (o almeno dalla ripubblicazione americana su «Bioelectromagnetics», nel 1998), che annunciava che deboli segnali magnetici sono capaci di suscitare, nelle soluzioni acquose di acidi nucleici, correnti cui sono associati a loro volta segnali magnetici, come quelli che quindici anni più tardi, sono stati visti dal gruppo di Luc Montagnier.

Dunque, ancora una volta, un evento mediatico. Che non ci sarebbe stato se Craig Venter avesse presentato la sua nuova metodica di modificazione genica per quello che è: una nuova metodica, che impiega il computer, diversamente da altre metodiche, pur fin qui più validate, sotto il profilo dei risultati ottenuti, come nel caso dei molti Ogm.
Ma la notizia allora non avrebbe meritato più di un articolo su una rivista scientifica e più di qualche trafiletto sui giornali di informazione, non senza qualche sarcasmo per avere Craig Venter, infine, ripetuto su un protobatterio quello che Ian Wilmut aveva fatto 14 anni prima su un animale superiore!
Dunque l’annuncio di Craig Venter non appare tanto dissimile da quelli di Umberto Veronesi o di don Verzé, pure trasformati in eventi politici-mediatici da Silvio Berlusconi, sulla sconfitta del cancro nel giro di tre anni. Ed esso pure viene fatto per gli stessi scopi per cui sono fatti quelli:

1) raccogliere soldi subito (è di ieri l’annuncio che BP finanzierà Craig Venter per mettere a punto un batterio che sciolga la macchia di petrolio);

2) acquisire consenso nell’opinione pubblica e renderlo fruttifero per gli sponsor, anche in futuro (la BP pensa evidentemente di far dimenticare il suo crimine, mostrando di essere volenterosa per il futuro e inducendo a credere che il mondo della scienza risolverà ogni esigenza futura così come il petrolio risolve ogni esigenza attuale);
3) imporre una ideologia e una visione politica discutibile, quale quella dominante sia nella scienza che nella economia e nella politica, spacciando improbabili successi scientifici per conquiste dovute a quella ideologia (non è un caso che la scienza, quella vera, debba essere ricercata ormai su riviste scientifiche russe o cinesi, per mano di un francese).