Nonostante la cultura della responsabilità verso il vivente e del rispetto del mondo animale si è stabilmente affermata nella società occidentale c’è ancora molto da lavorare per sanare le contraddizioni
Si è svolto a Roma il Corso «Bioetica e Veterinaria: principi teorici e casi pratici». L’evento, organizzato con il patrocinio dell’Ordine dei Medici Veterinari della Provincia di Roma, in occasione del decennale del Comitato Bioetico per la Veterinaria, ha toccato temi propri del tessuto sociale e culturale cui tutti noi apparteniamo.
Lo scopo del Comitato, infatti, è proprio quello di trovare ed indicare soluzioni accettate e condivise da tutti i suoi appartenenti che, rispondendo a problematiche bioetiche particolarmente presenti nella categoria dei veterinari, forniscano un primo punto di confronto. I risultati del Comitato sono spesso raggiunti solo dopo molte sessioni d’incontro, supportate da articolate argomentazioni tecniche, filosofiche e scientifiche, e dopo scrupolosi approfondimenti tematici.
Le tematiche affrontate nell’incontro sono state le seguenti: benessere animale, consenso informato in medicina veterinaria, eutanasia animale, interventi chirurgici a fini estetici, cani pericolosi, pet-therapy, macellazione, filiera etica, commercio di animali, sperimentazione animale.
Vediamo da dove nascono queste riflessioni e dove ci possono condurre.
Nonostante la cultura della responsabilità verso il vivente e del rispetto del mondo animale si sia stabilmente affermata nella società occidentale, c’è ancora molto da lavorare per sanare le contraddizioni. L’interesse per le condizioni degli animali è divenuto un fatto diffuso nel sentire collettivo e non è più esclusivamente ristretto ad una élite particolarmente sensibile alle sofferenze animali.
Questo diverso atteggiamento non è però scevro da contraddizioni, per cui se da una parte auspica un miglioramento delle condizioni di vita degli animali, dall’altra non crea sempre le condizioni oggettive per la realizzazione pratica e quotidiana di questa evoluzione. Anzi, talvolta sembrano realizzarsi presupposti del tutto opposti.
La professione veterinaria
La professione veterinaria, direttamente implicata in tutte le attività umane che coinvolgono gli animali, si è dotata di un codice deontologico che, al primo articolo, recita così:
«Il medico veterinario dedica la propria opera:
– alla prevenzione e alla diagnosi e cura delle malattie degli animali;
– alla conservazione e allo sviluppo di un efficiente patrimonio zootecnico, promovendo il benessere degli animali e l’incremento del loro rendimento;
– alle attività legate alla vita degli animali sinantropi nonché di quelli da competizione sportiva e di quelli esotici;
– alla protezione dell’uomo dai pericoli e danni a lui derivanti dall’ambiente in cui vivono gli animali, dalle malattie degli animali e dalle derrate o altri prodotti di origine animale».
Nell’immaginario collettivo la figura del veterinario è legata soprattutto alla pratica clinica nell’interesse della vita animale, come avviene nel caso degli animali da compagnia, ma solamente una porzione della professione si svolge in questo settore. Numerosi colleghi, infatti, sono impegnati nel campo delle produzioni animali, dove la pratica clinica mira all’incremento dell’economicità di queste, oppure nel controllo ispettivo degli alimenti di origine animale.
La pratica clinica è in ogni caso quella più diffusa per numero di addetti. Il clinico veterinario, a seconda che si occupi di animali da compagnia o da reddito, svolge una funzione richiesta dalla società umana ed utile a questa, ma completamente diversa nei suoi obiettivi e spesso contraddittoria, se rapportata alla vita dell’animale.
Gli animali da reddito
La veterinaria è stata storicamente improntata alla salvaguardia e alla valorizzazione dell’interesse umano nei confronti degli animali e delle loro produzioni. Senza trascurare completamente le condizioni di vita animale, la società umana ha chiesto principalmente alla professione di incrementare i quantitativi di derrate alimentari, di produrre queste merci al prezzo più basso possibile, di rendere sicuri gli alimenti di origine animale e, solo negli ultimi decenni, di realizzare la più piacevole convivenza con un animale da compagnia.
Questo genere di atteggiamento ha comportato che, nei confronti degli animali da reddito, la filiera si sia sempre più industrializzata, al fine di aumentare la redditività degli allevamenti e renderli competitivi nei mercati mondiali. L’inevitabile conseguenza di tale industrializzazione è stata la perdita di un’attenzione individuale per i diversi soggetti: la pratica clinica non è più rivolta al singolo animale, il cui valore economico è sempre più scarso, ma solo all’intera mandria, che, solo per il suo grande numero di individui, riesce ad avere un significato economico.
Accanto al veterinario che applica le più moderne risorse della ricerca medica per prolungare la vita di un animale da compagnia malato, ne troviamo un altro (o lo stesso in un altro momento della giornata) che visita e accerta la perfetta sanità di un animale di una diversa specie. Quest’ultimo, proprio perché sano, potrà essere abbattuto per essere utilizzato nell’industria alimentare.
Tutto ciò non avviene a causa di una sorta di schizofrenia della professione veterinaria, ma è frutto di specifiche richieste della società: animali buoni da pensare ed animali buoni da mangiare. Animali a cui rivolgere affetto ed animali da cui ottenere produzioni.
Tuttavia, bisogna chiarire che lo sviluppo neurologico e la capacità di percezione nelle diverse specie animali non sono affatto differenti; ciò che è diverso è solamente l’uso che l’uomo fa di questi animali. Particolarmente evidente è la condizione che si verifica per il coniglio, al tempo stesso animale da compagnia sempre più diffuso, ma anche da sempre utilizzato nell’alimentazione umana.
Fin quando è stato l’uso che si faceva dell’animale a fare la differenza, il problema morale, seppur presente, non era così evidente.
Negli ultimi decenni, però, si è fatto strada un nuovo concetto, quello di benessere animale, che, almeno, ha richiamato l’attenzione sul tema della sofferenza degli animali. La società ne è stata pervasa e la politica ne ha preso atto tanto da modificare le leggi. L’intera legislazione europea sugli animali da reddito realizza direttive, che cercano di essere rispettose del benessere animale, venendo incontro al sentimento espresso dall’opinione pubblica.
Gli animali da compagnia
Per quanto riguarda gli animali da compagnia, in Italia si è realizzata una legislazione sempre più rispettosa (L.189 del 1 agosto 2004), che individua e definisce un elenco di delitti nei confronti degli animali, per il quale è previsto anche il carcere. Tuttavia, per il professionista veterinario, non è difficile rilevare inquietanti incongruenze tra le affermazioni di principio e le realizzazioni pratiche.
I recenti fenomeni di aggressioni da parte di cani sono l’indice della superficialità che, specialmente negli ultimi anni, si è largamente diffusa rispetto alla convivenza con i cani, animali domestici per eccellenza. La razza viene frequentemente scelta solo su base estetica e non per le caratteristiche fisiche e comportamentali che questa implica. Gli animali vengono spesso ineducati, abbandonati a se stessi per lunghi periodi di tempo durante la giornata, finendo per non essere più integrabili nella vita cittadina. Sempre più comune la richiesta di trattare con i soli psicofarmaci le problematiche di natura comportamentale, spesso create da un errato rapporto con l’uomo.
All’aumentata considerazione morale per gli animali si accompagna sovente una diffusa ignoranza sulla biologia, etologia e fisiologia dell’animale che si è scelto di portare in casa. Questo atteggiamento, che riflette l’atavica abitudine di considerare gli animali non tanto come esseri viventi e senzienti, quanto più come beni di natura commerciale, è particolarmente evidente nel caso dei selvatici. La detenzione di animali esotici, sempre più diffusi nelle case italiane, è il frutto di un malinteso amore nei confronti della natura, che spesso finisce per alimentare uno dei commerci illegali più redditizi. Senza entrare nella complessa questione biologica e culturale della domesticazione, non si può far a meno di evidenziare la rilevanza morale, da una parte, dell’aver sottratto all’evoluzione naturale alcune specie, rendendole più dipendenti dalla convivenza con l’uomo e, dall’altra, di imporre una convivenza stretta a delle specie selvatiche che per le loro caratteristiche naturali provano sofferenza, sia per lo stato di cattività, sia per l’imposizione di un contatto stretto, indesiderato, con l’uomo.
Questa lunga serie di problemi etici, ai quali se ne potrebbero aggiungere ancora molti altri, viene perlopiù vissuta dal singolo professionista come una sorta di accidente insito nella professione stessa e che il codice deontologico non riesce a chiarire. Il libero professionista, per il suo contatto con la clientela, è senza dubbio più soggetto alle differenti interpretazioni dello status morale degli animali, causa di non piccolo disagio psicologico.
Nell’attività ambulatoriale, non è infrequente vedersi richiedere eutanasie per animali sani ma ingombranti, oppure, al contrario, vedersi richiedere le terapie più evolute e costose per un animale sofferente e senza speranza di vita.
Il tentativo di mettere ordine in questa confusa situazione ha portato l’ordine professionale a costituire nel 1997 un Comitato Bioetico per la Veterinaria, accanto al Comitato Nazionale di Bioetica.
Il Comitato lavora convocando ed interrogando specifiche competenze inerenti gli argomenti dibattuti (veterinari, filosofi, giuristi, teologi, rappresentanti delle diverse religioni, autotrasportatori, politici, giornalisti, etc.) ed affronta una media di due argomenti l’anno. Eventuali argomenti collegati o dipendenti vengono affrontati e sviluppati in sottocommissioni e poi riportati alla sessione plenaria per una costante e tenace ricerca di posizioni comuni e condivise.
Infine, i lavori del Comitato vengono raccolti in una collana di volumi semestrali.