Perché aspettare Fukushima per cambiare?

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Il dilemma è che ancora poca gente è pienamente consapevole del fatto che la condotta governativa di un paese diventa parte integrante e rilevante del nostro quotidiano, influenzandone le scelte, la capacità d’acquisto, la progettualità futura, la programmazione presente, la nostra stessa sopravvivenza

Il livello radioattivo dell’acqua e dell’aria nella zona circostante la centrale nucleare di Fukushima si impenna. Questo solo il preludio delle conseguenze pesanti con cui l’uomo dovrà fare i conti prima di quanto creda. Ed è allarme radiazioni.

Nonostante tutto, il Giappone post-terremoto è comunque la rappresentazione classica di un popolo che ripone una fiducia incondizionata nei propri esponenti politici.

Nella devastazione di questi giorni, difatti, emerge solo la compostezza, il rigore, la speranza di un popolo pronto a ripartire perché sicuro delle buone intenzioni del proprio governo.

Solo dopo due settimane dal disastro il 90% della rete autostradale nipponica era già stata ripristinata.

D’altra parte, in casi come questo, di catastrofi ambientali dalla portata devastante, un governo o dimostra capacità, oppure tutta la sua fragilità.

Rimane da chiedersi cosa sarebbe successo se questo dramma colossale fosse piombato sulla nostra Italia, paese altrettanto sismico.

La risposta potrebbe essere una sola, o un insieme di sinonimi dal sinistro presagio: anarchia, disordine, sovversivismo ed infine pazzia.

Perche la natura è «dinamica», non inerzia.

E se decide di lasciare il segno, il rischio potrebbe essere quello del non ritorno.

E chi stabilisce in queste occasioni quale sarà la nostra sorte, a parte ovviamente il libero arbitrio?

Sembra un’eventualità iperbolica e invece sono proprio gli affari di stato a decidere il nostro destino.

La politica è la nostra fortuna, o la nostra sfortuna.

I nostri rappresentanti istituzionali con il loro operato, chiaramente anche in ambito ambientale, condizionano tutti gli aspetti della nostra vita: le loro qualità, ammesso che ce ne siano, o le loro deficienze si riversano con la pesantezza di macigni scagliati a folle velocità contro di noi.

Il dilemma è che ancora poca gente è pienamente consapevole del fatto che la condotta governativa di un paese diventa parte integrante e rilevante del nostro quotidiano, influenzandone le scelte, la capacità d’acquisto, la progettualità futura, la programmazione presente, la nostra stessa sopravvivenza.

Se l’Italia non ha ancora toccato il fondo, se non è arrivata a grattare il basamento del famoso barile(costoso ormai almeno quanto quello del greggio, vittima e complice al tempo stesso della speculazione economica attuale) è solo perché la generazione di oggi dei potenziali lavoratori, potenziali per l’appunto perché poi effettivamente inoccupati, si sorregge pesantemente sulla capacità di sostentamento economico della generazione passata, ossia quella dei genitori.

E quando questi parenti di primo grado verranno chiamati a miglior vita, ci si interrogherà sul da farsi, sulle possibili opzioni da vagliare.

Ma quali?

Una società senza futuro. Questo è il lascito che doneremo a noi stessi, prossimi adulti di domani, e quindi ai nostri figli.

E forse allora sì che si valicherà il limite della disperazione, della fame, della follia.

Sarà la rivoluzione e la porteranno avanti i nostri eredi con tutta la foga e l’impatto violento della fede ideologica tipica dei ventenni.

Un nuovo nord-Africa incendiato dalle proteste.