«Starfish Prime», un brutto anniversario

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Fu il primo esperimento a destabilizzare la struttura naturale dell’alta atmosfera e a distruggere, anche se temporaneamente, le fasce di Van Allen, con conseguenze sul clima allora imprevedibili, e che, a tanti anni di distanza, non sono state ancora del tutto chiarite

Il 9 luglio 1962 ebbe luogo il primo esperimento di esplosione di un ordigno nucleare nella ionosfera, cioè a centinaia di km dal suolo nell’alta atmosfera: si chiamava «Starfish Prime». L’esperimento, effettuato dagli Usa, fu la risposta al test nucleare eseguito l’anno prima (30 ottobre 1961) dall’Unione Sovietica che aveva fatto esplodere la prima bomba termonucleare a idrogeno da 50 megaton (Bomba Zar), a circa 4 km di quota nella bassa atmosfera, sopra l’isola della Nuova Zemlya. Era la più potente bomba mai fatta esplodere, una palla di fuoco a temperatura di milioni di gradi °C, che originò una colonna ascendente di aria calda fino a circa 70-80 km di quota, nell’alta mesosfera. Nel week end, appena trascorso, il Segretariato esecutivo del Trattato internazionale per la messa al bando dei test nucleari (Ctbt), ha ricordato questi avvenimenti come un anniversario da non dimenticare, perché segnarono la successiva escalation della «guerra fredda» tra Usa e Unione Sovietica, che portò ad una crisi molto vicina a una guerra nucleare mondiale.

Tuttavia, questo esperimento lo ricordiamo soprattutto perché fu il primo a destabilizzare la struttura naturale dell’alta atmosfera e a distruggere, anche se temporaneamente, le fasce di Van Allen, con conseguenze sul clima allora imprevedibili, e che, a tanti anni di distanza, non sono state ancora del tutto chiarite. L’esplosione ebbe luogo a 400 km di quota sopra l’atollo di Johnston: un atollo disabitato nel Pacifico settentrionale a circa 1.400 km a ovest delle isole Hawaii. La potenza della bomba nucleare era di 1,45 megaton (quasi 120 volte superiore alla potenza della bomba di Hiroshima). A quella quota l’esplosione produsse la distruzione della fascia interna di Van Allen, con la conseguente formazione di aurore spettacolari come quelle polari, ma che avvennero a medie e basse latitudini, illuminando tutto l’oceano Pacifico, dalle Hawaii fino alla Nuova Zelanda. Tali conseguenze, all’epoca, erano del tutto imprevedibili, anche perché ancora non si conosceva molto sulle fasce di Van Allen, scoperte solo 4 anni prima. Ora sappiamo che, senza le fasce di Van Allen, il nostro pianeta sarebbe bombardato da una pioggia di radiazioni ionizzanti provenienti, per lo più, dal sole (vento solare) costituita da elettroni, protoni, e altre particelle nucleari cariche, che avrebbero impedito lo sviluppo della vita sulla terra.

Il test portò ad altre conseguenze: l’onda elettromagnetica generata dall’esplosione nucleare nella ionosfera, produsse sull’area del Pacifico, ma in particolare sulle isole Hawaii e la Polinesia, una tempesta magnetica che danneggiò tutti i sistemi elettrici ed elettronici, sia civili, sia militari. Inoltre, polveri radioattive ad alta quota (aerosol radioattivi), assieme all’onda elettromagnetica, mandarono fuori uso un terzo dei satelliti che erano allora in orbita attorno alla terra. Infine, gli aerosol radioattivi nella stratosfera e nella mesosfera hanno viaggiato per anni trasportate dalle correnti ad alta quota prima di ricadere al suolo. Il fallout radioattivo che investì tutto il pianeta per i 10-15 anni successivi, a causa di questo e altri esperimenti nucleari, innalzò per decenni, in molte aree del mondo, i livelli di radioattività al suolo fino a valori doppi rispetto ai livelli di radioattività naturale, come riportarono le valutazioni dell’epoca. Quello, che ancora non è chiaro, è se la presenza di aerosol radioattivi fino agli anni successivi al 1970, in alta quota e in particolare nella stratosfera (tra 15 e 50 km di quota), abbia influito sui cambiamenti climatici.

«La presenza di aerosol nella stratosfera, se in concentrazioni non trascurabili – ha commentato il fisico dell’atmosfera Alcide di Sarra, climatologo dell’Enea – causa un raffreddamento climatico e può produrre una riduzione dell’ozono, come dimostrano gli effetti delle grandi eruzioni vulcaniche, le cui emissioni sono finite in stratosfera. I numerosi test nucleari, effettuati negli anni 50 e 60 del secolo scorso, hanno permesso di capire molti processi riguardanti la distribuzione e il trasporto di aerosol in stratosfera, e si ipotizza che potrebbero avere in parte contribuito alla fase di raffreddamento climatico osservata tra il 1950 e il 1975».

(Fonte Enea-Eai)