Una civiltà costruita sulla morte degli indios

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In questi ultimi tempi, mentre siamo distratti dalla crisi economica, si intensificano le prevaricazioni in Sud America sia da parte dei trafficanti di droga sia da parte delle multinazionali. I casi del Brasile e della Colombia. Le testimonianze di Survival International

Perché ci ostiniamo a chiamare civiltà quello che i paesi industrializzati, cioè ricchi, definiscono la nostra società e i nostri stili di vita?

Se solo i nostri telegiornali si soffermassero sugli aspetti di questa civiltà, ci sarebbe da fare accapponare la pelle.

Dai comportamenti sotto i nostri occhi, nelle città della civiltà, alle azioni delle grandi industrie nelle sperdute foreste amazzoniche o nei ricchi siti del Sud America, fino all’Africa e all’Indonesia. Industrie e multinazionali che lavorano per fornirci quegli oggetti che fanno poi parlare della nostra come una civiltà.

In pratica, dai tempi dei tempi, vige sempre la regola del più forte. E chi si pone ad ostacolare con la sua presenza il cammino della civiltà viene spazzato via. Dagli aborigeni, ai pellerossa, da una tribù africana sconosciuta agli armeni.

Si intrecciano ragioni politiche, religiose, economiche.

In questi ultimi tempi, mentre siamo distratti dalla crisi economica, si intensificano le prevaricazioni in Sud America sia da parte dei trafficanti di droga sia da parte delle multinazionali o delle bande di guerriglieri.

Sotto tiro sono indifese tribù che cercano di vivere nei posti più reconditi di questo mondo civile ma che i cacciatori di beni scovano e puniscono perché semplicemente rivendicano il diritto di vivere dove sono.

In questa visione si inquadra il brutale attacco ai Guarani del Brasile con camion carichi di uomini armati. Survival International ha saputo che alcuni camion carichi di uomini armati stanno cacciando con violenza i Guarani del Brasile dalle loro terre, in preda al terrore di perdere la vita.

«Le vite di molte persone sono in imminente pericolo – ha dichiarato a Survival Tonico Benites, un antropologo guarani -. In qualsiasi momento potrebbe morire un bambino».

Lo zio di Benites è stato accecato a un occhio durante un altro attacco sferrato recentemente contro le comunità guarani di Pyelito Kuê e M’barakai, a sud dell’Amazzonia brasiliana.

I Guarani sono stati costretti a fuggire per mettersi in salvo dopo che le loro capanne erano state incendiate, i loro indumenti bruciati e le famiglie minacciate.

«Lampade e torce ci abbagliavano da tutte le direzioni – ha raccontato un uomo guarani – e bambini e anziani non potevano scappare. Mentre vi scrivo questo messaggio mi si riempiono gli occhi di lacrime. In queste condizioni non abbiamo quasi più nessuna speranza di sopravvivere in Brasile».

Sembra che uomini armati abbiano bloccato le strade, distruggendo un ponte che consentiva di raggiungere l’accampamento degli Indiani dall’esterno, e che abbiano circondato i Guarani per impedire l’invio di rifornimenti di cibo e medicinali.

Da agosto sono già stati sferrati diversi attacchi ai Guarani, che stanno cercando di riavere la terra ancestrale, sottratta loro dagli allevatori negli anni 70. I Guarani hanno subito persecuzioni anche nel 2003 e nel 2009, quando avevano fatto analoghi tentativi di rivendicare e rioccupare la loro terra.

«È scioccante che i Guarani debbano essere ripetutamente perseguitati per aver tentato di tornare nella terra che gli appartiene a pieno diritto – ha commentato oggi Stephen Corry, direttore di Survival -. Il governo brasiliano deve agire rapidamente prima di vedere cadere altre vite innocenti».

Dal Brasile alla Colombia. Un gruppo di ribelli armati ha sabotato il primo tentativo di fornire assistenza medica d’emergenza via barca ai nomadi Indiani Nukak, una delle tribù della Colombia più minacciate d’estinzione. Survival International ha appreso che lo staff medico è stato costretto a cedere tutti i suoi strumenti, tra cui barelle, attrezzature chirurgiche e computer. L’Organizzazione Nazionale degli Indigeni Onic, proprietaria della barca sequestrata, è stata attaccata da alcuni membri delle Farc (le forze armate rivoluzionarie della Colombia) e al suo staff sono stati lasciati venti minuti per fuggire.

Per i vulnerabili Nukak, che non hanno accesso all’assistenza sanitaria, si tratta di un durissimo colpo. La tribù è stata classificata come uno dei 35 gruppi in immediato pericolo di estinzione dalle Nazioni Unite proprio il mese scorso.

E si potrebbe continuare a lungo, da un capo all’altro del Pianeta, in cui popolazioni indifese vengono private del diritto alla vita. Si potrebbe dire che da sempre il «progresso» è stato costruito a spese di altri. Questa volta, l’unica differenza è che noi possiamo fare scelte diverse perché abbiamo conoscenze e civiltà. O no?