Su Durban l’ombra degli indignati del Clima

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Alcuni dei maggiori inquinatori mondiali, come: Stati Uniti, Giappone, Russia, India e Brasile sono favorevoli a rallentare i negoziati sul clima e a prendere una pausa di riflessione fino al 2015. L’Europa vorrebbe, invece, cominciare subito una nuova «road map» negoziale per un trattato globale che entri in vigore per il 2015. Per la Cina la priorità assoluta è il proseguimento, con nuovi obblighi legalmente vincolanti, del protocollo di Kyoto fino al 2020.

Per il trattato globale che propone l’Europa la Cina non intende, invece, farlo entrare in vigore prima del 2020. Gli Stati delle Piccole Isole, che giù risentono degli effetti più dannosi dei cambiamenti climatici (e che vorrebbero un taglio immediato delle emissioni in modo che il surriscaldamento climatico sia inferiore a 1,5°C), sono indignati, sia contro i Paesi industrializzati che non prendono impegni vincolanti, sia verso i Paesi in via di sviluppo emergenti come Cina, India e Brasile che hanno un atteggiamento ambiguo e complice con i Paesi industrializzati. A loro volta, Cina, India e Brasile sono indignati contro Russia, Giappone e Canada per il loro caparbio rifiuto a proseguire con il protocollo di Kyoto o con qualunque altro trattato che rassomigli a quello di Kyoto.

In questa atmosfera, si apre oggi a Durban la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che ha un’agenda molto ricca ed articolata e i cui punti più importanti sono tre. Innanzitutto, deve essere dato l’avvio operativo del «Green Climate Fund» deciso a Copenhagen nel 2009 e formalmente istituito a Cancún nel 2010, anche se i finanziamenti disponibili sono molto scarsi per il «fast start» da 30 miliardi di dollari per anno nel periodo 2010-2012, e non si sa come finanziarlo con 100 miliardi per anno dal 2013 al 2020. Poi, bisogna istituire il «meccanismo di trasferimento tecnologico» per promuovere lo sviluppo delle energie pulite e degli interventi di adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. Infine, bisogna costituire il «quadro di riferimento per l’adattamento» al fine di coordinare la cooperazione internazionale per le azioni di riduzione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo.

Il nodo principale

Ma, il problema fondamentale, e che è rimasto finora irrisolto, riguarda la individuazione delle strategie e la definizione degli impegni di riduzione delle emissioni che siano coerenti con l’obiettivo di mantenere il surriscaldamento climatico globale al di sotto dei 2°C rispetto all’epoca pre-industriale. Si tratta, in pratica di azioni ed impegni che fanno parte, per quanto riguarda il breve periodo (entro il 2020) della bozza di Protocollo di Kyoto emendato preparata dal gruppo Agw-Kp (Gruppo dei Paesi che sta mettendo a punto il protocollo di Kyoto emendato) e, per quanto riguarda il lungo periodo (entro il 2050), della bozza di trattato di lungo periodo preparata dal gruppo Agw-Lca (Gruppo dei paesi che sta mettendo a punto il trattato basato sulla «Road map di Bali»). Che fine faranno queste due bozze? Come si integrano tra loro? Saranno trattati (entrambi o almeno uno dei due) con obblighi legalmente vincolanti?

Questo problema che è stato alla base del fallimento della Conferenza di Copenhagen, è rimasto irrisolto almeno fino a pochi giorni fa, cioè fino al 17 e 18 novembre 2011, quando è stato convocato dagli Usa, a Crystal City in Virginia, il Major Economy Forum (Mef), istituito dal presidente Barack Obama nel 2009 e costituito dalle 17 maggiori economie mondiali, ma a cui sono ammessi a partecipare anche alcuni rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo. In questa riunione, di cui il Dipartimento di Stato americano ha pubblicato un resoconto, dopo un’ampia discussione nella quale l’Europa è stata messa in minoranza, sono state trovate le soluzioni che dovranno essere approvate a Durban.

Tener vivo Kyoto

Per quanto riguarda il prolungamento del Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012, la maggioranza dei partecipanti al Mef ha ritenuto opportuno che gli impegni si estendano fino al 2020. Di conseguenza la bozza preparata dal gruppo Agw-Kp sul protocollo di Kyoto emendato e con i nuovi impegni al 2020, è utile allo scopo. Tuttavia, gli impegni in questa seconda fase non devono essere obblighi legalmente vincolanti, come nella prima fase, ma non devono neanche essere generiche promesse del tutto deregolamentate. Bisogna, quindi, trovare a Durban una «via di mezzo» che trovi il massimo consenso anche dei Paesi che finora si sono opposti al proseguimento del protocollo di Kyoto. È, infatti, necessario che il protocollo di Kyoto prosegua per tener desta l’attenzione della pubblica opinione sulla necessità di un accordo globale di lungo periodo che prenderà l’avvio dal 2020.

Per quanto riguarda, l’accordo globale, cioè il trattato di lungo periodo, la cui bozza è stata preparata dal gruppo di lavoro Agw-Lca, i partecipanti al Mef hanno chiesto garanzie reciproche, per non cambiare gli accordi già raggiunti a Cancún sull’obiettivo (2°C) e per non modificare le parti fondamentali della bozza di trattato già redatta. Ebbene, si è convenuto che l’accordo di Cancún che contiene un obiettivo molto ambizioso (2°C) deve essere considerato il presupposto per promuovere azioni molto ambiziose, ma, bisogna anche tener conto che è prevista, dagli stessi accordi di Cancún, una revisione che dovrà essere effettuata nel 2015. Le azioni per conseguire gli obiettivi dell’accordo di Cancún, possono essere di vario tipo, alcune delle quali è necessario che comincino prima del 2020. Tuttavia, a Durban non è opportuno decidere su nessuna di tali azioni, così come non è opportuno decidere neanche nei prossimi anni fino alla revisione degli accordi di Cancún del 2015. In pratica, la maggioranza dei partecipanti al Mef intende prendere una pausa di riflessione fino al 2015 e solo in seguito procedere a mettere a punto in modo definitivo il trattato che entrerà in vigore nel 2020. Nel frattempo, si procederà alla sperimentazione dei vari meccanismi già messi a punto, ma in particolare bisognerà lavorare su un argomento controverso e conflittuale: gli obiettivi di trasparenza nel processo di verifica e controllo dell’attuazione degli impegni.

La trasparenza, dicono i partecipanti al Mef, non va intesa come la ricerca di colpe altrui nell’attuazione degli impegni, ma come collaborazione nella reciproca comprensione dei rispettivi sforzi per risolvere i problemi. Inoltre i controlli non possono essere intrusivi o ledere il principio della sovranità nazionale. Di conseguenza a Durban e negli anni successivi fino al 2015, bisognerà lavorare in questa direzione per superare gli attuali ostacoli alla definizione dei meccanismi di verifica e controllo degli impegni (meccanismo Mrv: Measurement, Reporting and Verification). Il questo ambito, il processo di «review» periodico con la redazione di idonei rapporti biennali da inserire poi nelle «comunicazioni nazionali» inizierà nel 2014 con il primo di tali rapporti biennali e non nel 2013 e 2015, come precedentemente concordato. Questo permetterà di avere elementi concreti e aggiornati per la revisione nel 2015 degli accordi di Cancún e per la successiva definizione finale del trattato di lungo periodo.

A questo punto non solo la Conferenza di Durban sembra ormai delineata fino alle decisioni finali, ma è stato anche tracciato un programma di lavoro pluriennale per i negoziati del clima. Tutto ciò, ovviamente, nel caso in cui non ci saranno sorprese. E le sorprese, tanto imprevedibili, quanto probabili, potrebbero provenire dagli Stati delle Piccole Isole, gli unici non rappresentati nella suddetta riunione del Mef, gli unici veramente indignati e che hanno già minacciato di boicottare i negoziati di Durban, con l’occupazione, per protesta, della sede stessa dei negoziati.

(Fonte Enea-Eai)