L’impegno del Wwf e quella sponsorizzazione chiacchierata

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> Polemica chiusa, vigilanza attiva

 

Risposta del Wwf Italia all’articolo «Una discutibile sponsorizzazione del Wwf», pubblicato su «Villaggio Globale» lunedì 28 novembre.

Ci dispiace molto leggere un giudizio tanto aspro quanto infondato sulle pagine di «Villaggio Globale». Il Wwf opera da più di 20 anni per la salvaguardia del Bacino del Congo, il secondo serbatoio di foreste tropicali del Pianeta, con progetti concreti e rendicontabili. In questi anni siamo riusciti a portare all’11% la superficie protetta in tutto il bacino, denunciare centinaia di azioni di bracconaggio, portare a 5,3 milioni la superficie di foreste gestite in modo sostenibile, combattere quotidianamente il taglio illegale, insegnare alle comunità locali una gestione durevole delle loro risorse naturali, proteggere le specie in via d’estinzione per noi tutti e per le generazioni che verranno. A supporto di queste azioni, il Wwf ha lanciato anche in Italia la campagna Green Heart of Africa, attraverso attività diverse tra cui, secondo prassi comune, un press-trip in Cameroun e Centrafrica con alcuni giornalisti italiani.

Sicuramente dobbiamo fare ancora tanta strada. Ma molti obiettivi non potranno essere raggiunti senza il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco della comunità civile, dei governi, delle istituzioni e anche delle aziende. Come abbiamo già avuto modo di affermare più volte, il Wwf è convinto che per affrontare seriamente le minacce globali è fondamentale coinvolgere, responsabilizzare e indirizzare in percorsi di utilizzo sostenibile proprio quelle aziende che hanno un impatto diretto sulle risorse naturali. Sappiamo che il dialogo con le imprese è un fronte complesso, che può esporci ad infondate azioni di screditamento, ma è un’azione fondamentale per inserire principi di sostenibilità in processi produttivi potenzialmente insostenibili e avviare il mercato verso un futuro più rispettoso degli equilibri del pianeta e della biodiversità.

Proprio in quest’ottica, il Wwf da sempre è impegnato affinché le aziende del settore adottino la certificazione forestale, strumento fondamentale per ridurre la deforestazione e gestire le foreste in maniera sostenibile. In Italia il Wwf ha avviato uno specifico percorso con le imprese fra cui Vasto Legno, un’azienda che ha ottenuto la certificazione della catena di custodia (ovvero la filiera che va dalla produzione alla distribuzione) e che a oggi è una delle poche società in Italia ad aver investito in Africa sulla certificazione Fsc, ottenuta nel 2007 (questa certificazione è stata successivamente ritirata, non per questioni legate all’azienda e alla gestione forestale ma per la sospensione dell’ente certificatore; ora è di nuovo in fase di approvazione e il Wwf sta seguendo gli esiti di questo processo con grande attenzione, sia rispetto agli operatori italiani, sia rispetto alle realtà locali connesse a questa filiera).

Sul fronte del turismo sostenibile, siamo convinti che rappresenti una fonte importantissima per le economie locali, un’opportunità di riscatto per le comunità di quei Paesi e, allo stesso tempo, un potente strumento di conservazione di specie e habitat in via d’estinzione. I processi di abituazione di alcuni animali, fatta secondo criteri scientifici e fiore all’occhiello del lavoro del Wwf nella foresta di Dzanga Sangha, consentono di garantire un turismo sostenibile di qualità, che con la sua stessa presenza favorisce la conservazione degli ecosistemi forestali e rappresenta una fonte di reddito per le comunità locali.

Si tratta sicuramente di un turismo costoso, ma la conservazione degli ultimi gorilla del bacino del Congo, fortunatamente lontani ore di macchina da qualunque centro abitato e da qualunque aeroporto, è inconciliabile con un turismo dei grandi numeri. I gorilla vengono seguiti dai nostri ricercatori dall’alba al tramonto per verificare che la visita dei turisti non produca su di loro nessun tipo di stress. I ricercatori ne controllano le abitudini e gli spostamenti garantendo che nessun pericolo li minacci.

L’alternativa a un turismo responsabile e di qualità è quella di lasciare che le sorti dei gorilla vengano drammaticamente determinate dal valore commerciale delle loro carni. Ancora oggi infatti, il bracconaggio di gorilla, scimpanzé e bonobo sta determinando la scomparsa dei grandi primati dalle foreste del bacino del Congo. Succede ogni giorno nel silenzio assoluto dei mezzi di informazione.

In conclusione, aspettiamo di ricevere dalla redazione di «Villaggio Globale» la documentazione che attesta le accuse da loro riportate. Convinti che un’informazione corretta sia alleato indispensabile per continuare a proteggere un patrimonio naturale che è alla base del benessere stesso del pianeta.

Wwf Italia

Risposta

L’articolo pubblicato da «Villaggio Globale» raccoglie essenzialmente alcuni documenti (di cui si forniscono gli indirizzi web) realizzati da varie associazioni, gruppi e singoli come Greenpeace, Fsc Watch, Salvaleforeste, etc. (vedi ad es. http://www.greenpeace.org/raw/content/international/press/reports/groupe-sefac-destroying-camero.pdf) che si sono occupati di documentare l’operato della Vasto Legno attraverso il suo braccio operativo locale in Camerun (Sefac). Quanto evidenziato era volto a comprendere come mai un’associazione del calibro e della fama del Wwf abbia scelto come principale partner per la sua Campagna sulle Foreste proprio un’azienda che, stando alle numerose accuse, denunce e violazioni riportate, sembra non fornire alcuna garanzia di sostenibilità sul suo operato.

Effettivamente come si afferma nella lettera del Wwf, per raggiungere risultati contro la deforestazione è necessario «coinvolgere, responsabilizzare e indirizzare in percorsi di utilizzo sostenibile proprio quelle aziende che hanno un impatto diretto sulle risorse naturali». C’è, però, una grande differenza tra il fare pressione sulle aziende che stanno tagliando le ultime foreste vergini tropicali (ed anche se lo facessero nel modo meno distruttivo possibile o seguendo tutte le normative di legge, andrebbero comunque ad impattare su un delicatissimo ecosistema) e farsi finanziare una campagna ad hoc contro la deforestazione proprio da quelle stesse aziende.

Il Wwf, in quanto portatrice d’interesse nella conservazione, dovrebbe piuttosto stare dalla parte della tutela delle foreste primarie che da quella della «gestione sostenibile». Il taglio, seppur selettivo, delle foreste tropicali genera proprio quei problemi che il Wwf dichiara di contrastare nel parco nazionale sito di fronte all’area dove opera la Sefac. Bracconaggio, taglio illegale, proliferazione delle miniere sono tutti effetti collaterali dell’operato di aziende del legname che, dopo aver tagliato ciò che gli serve per un rapido profitto, lasciano lavoratori disoccupati, indigeni allo sbando, strade che solcano la foresta, sentieri utili per la caccia di frodo e per l’espansione mineraria.

Proprio la Sefac (Vasto Legno) è stata negli ultimi anni più volte sanzionata per tagli non autorizzati, traffico illecito di legname, mancato rispetto delle concessioni e dei volumi, come si legge nel sito di Salvaleforeste. Tutto questo è avvenuto anche sotto regime certificatorio Fsc. A tal proposito il marchio di sostenibilità non è decaduto, come sostiene il Wwf, per la sospensione dell’ente certificatore, ma come riportato sul sito dell’organismo Fsc-Watch a causa «del risultato di un’ispezione del nuovo ente certificatore Asi sui certificati Sefac» per cui «da Icila furono richieste “cinque azioni correttive”». Una di queste (che ha poi portato al ritiro dei certificati) era «relativa alla scoperta che le certificazioni rilasciate da Icila a Sefac non erano congrue ai criteri ed ai principi promossi dall’Fsc». (Certificate ICILA-COC-000190 assigned to: VASTO LEGNO S.p.A. is withdrawn since 20/10/10; Certificate ICILA-COC-000198 assigned to: VASTO LEGNO S.p.A.is withdrawn since 20/12/10; Certificate ICILA-FM-000181 assigned to: SEFAC SA is withdrawn since 16/10/09),  vedi ad es. i documenti pubblicati come allegati proprio sul nostro sito (Allegato1, Allegato2).

Nelle concessioni Sefac (Vasto Legno) del sud-est del Camerun, inoltre, vivono molti gorilla ed elefanti ed alcune residue popolazioni pigmee che, comunque, ben poco verrebbero tutelate dalla presenza del marchio Fsc. Proprio i pigmei hanno denunciato le violazioni compiute dall’azienda in una video-intervista che la nostra Redazione ha tratto da You-Tube.

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Ad ogni modo, a nostro avviso sembra inopportuno per un’associazione ambientalista avviare una partnership finanziaria con un’azienda che opera il taglio delle foreste vergini africane, perché si tratta dello stesso paradosso per cui lo Stato si fa finanziare dai produttori di tabacco per avviare campagne contro i danni da fumo.

A nostro modesto parere, l’unica ragione che spinge un’associazione ecologista ad allearsi con le aziende, invece che denunciare il vergognoso saccheggio che esse compiono ai danni delle ultime foreste primarie tropicali, è soltanto economica. Non c’è alcun intervento di rimozione degli alberi commerciali tropicali (selettivo, certificato da marchi Fsc, compiuto seguendo le normative, etc.) che non vada a danneggiare l’intero ecosistema. Invece, non contrastando qualunque operazione di taglio perché comunque dannoso per l’habitat tropicale, anche se effettuato nel più totale rispetto delle normative vigenti, si fornisce una maschera pulita alle aziende per rassicurare l’opinione pubblica, nascondendo più o meno volontariamente la realtà dei fatti.

Pur credendo nelle buone intenzioni del Wwf, sorprende come aziende per anni denunciate dalle stesse associazioni ambientaliste, possano improvvisamente diventare esempio di sostenibilità e, soprattutto, come si possa parlare di sostenibilità quando si tratta comunque di tagliare alberi centenari da millenarie foreste (appartenenti a specie che, tra l’altro, sono spesso inserite nelle Liste Rosse IUCN, come «vulnerabili» o «minacciate», ad es. il Sapele. Tutto questo il Wwf non può non saperlo. Anzi dovrebbe essere l’associazione stessa a farlo conoscere all’opinione pubblica agendo sul problema, invece di allearsi con chi lo causa.

Per ultimo, tralasciando la discutibilità dell’abituazione degli animali alla presenza umana come forma di protezione e delle cifre richieste per visitare il parco gestito dal Wwf, non ci è ben chiaro per quale ragione (vista l’informazione corretta invocata) nei servizi realizzati sui media nazionali (grazie alla press-trip con giornalisti italiani organizzata dal Wwf) non sia stato fatto alcun accenno all’operato della Sefac (partner e sostenitore del Wwf) che ha segherie a qualche decina di metri dal parco dello Dzanga-Sangha, proprio sull’altra sponda del fiume.

In merito, infine, alla richiesta del Wwf di documentazione, che attesta quanto la redazione di «Villaggio Globale» ha riportato nell’articolo, rimandiamo ai numerosi documenti disponibili on-line di cui si è fornito il collegamento nel testo, dai quali il lettore può farsi una sua idea sulla vicenda.