Il rapporto «Fukushima, un anno dopo» presentato oggi da Greenpeace International conferma che il disastro testimonia il fallimento del governo, delle agenzie di controllo e dell’industria nucleare giapponese
Non è stato semplicemente un disastro naturale a causare il tragico incidente alla centrale di Fukushima Daiichi, ma piuttosto il fallimento del governo, delle agenzie di controllo e dell’industria nucleare giapponese. Questa la conclusione principale del rapporto «Fukushima, un anno dopo» presentato oggi da Greenpeace International a quasi un anno dal disastro. Si è trattato di un disastro causato dall’uomo che potrebbe ripetersi in ciascuno degli impianti nucleari del pianeta, mettendo a rischio milioni di persone.
Una sintesi del rapporto in italiano è consultabile on line.
«Anche se fu innescato tecnicamente dal terremoto e dallo tsunami dello scorso 11 marzo, il disastro di Fukushima è stato causato dal fatto che le autorità giapponesi hanno deciso di ignorare i rischi del nucleare e di dare priorità agli interessi economici piuttosto che alla sicurezza – ha dichiarato Jan Van de Putte, esperto di sicurezza nucleare di Greenpeace International -. Questo rapporto dimostra che il nucleare è intrinsecamente insicuro e che i governi autorizzano la costruzione di centrali nucleari senza avere le capacità di fronteggiare i problemi che possono derivarne nell’interesse della sicurezza dei cittadini. Tutto questo non è cambiato dal disastro di Fukushima, e per questo milioni di persone continuano ad essere esposte al rischio nucleare, in tutto il mondo».
Il rapporto che Greenpeace International ha commissionato ad un gruppo di esperti indipendenti, giunge a tre conclusioni principali:
1. le autorità giapponesi e gli operatori dell’impianto di Fukushima hanno agito sulla base di assunzioni assolutamente errate sulle probabilità di un incidente grave: i rischi erano noti ma minimizzati e ignorati;
2. sebbene il Giappone sia considerato uno dei Paesi meglio preparati al mondo per fronteggiare disastri di grande entità, nella realtà dei fatti questo disastro si è dimostrato peggiore, nelle sue conseguenze, di ogni ipotesi pianificata: i piani di emergenza nucleare e di evacuazione non sono riusciti a proteggere adeguatamente le persone;
3. centinaia di migliaia di persone hanno sofferto le conseguenze dell’evacuazione forzata per evitare l’esposizione alle radiazioni. Queste persone non possono rifarsi una vita perché non hanno ancora ottenuto indennizzi. Il Giappone è uno dei tre soli Paesi al mondo che, per legge, considera un operatore di impianto nucleare (Tepco, in questo caso) interamente responsabile dei danni causati da un disastro nucleare ma, evidentemente, i meccanismi di riconoscimento della responsabilità del danno e della successiva erogazione degli indennizzi alle vittime non funzionano. A un anno dal disastro le persone colpite sono sostanzialmente abbandonate a sé stesse e, alla fine, saranno i contribuenti giapponesi, e non Tepco, a pagare la maggior parte dei danni.
«Questo disastro era prevedibile, ma è accaduto a causa della vecchia consuetudine di ammorbidire le regole che, non solo in Giappone, tutelano i profitti a danno della sicurezza delle persone – ha detto Kazue Suzuki di Greenpeace Giappone -. Non a caso le autorità giapponesi stanno facendo pressione per far ripartire i reattori nucleari come se il disastro di Fukushima non fosse mai avvenuto: così i cittadini dovranno pagare un’altra volta per gli errori del proprio governo».
«Non è possibile obbligare le persone a convivere col mito della sicurezza nucleare e in attesa del prossimo disastro – ha aggiunto Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia -. L’energia nucleare deve essere progressivamente abbandonata – come sta già facendo la Germania – e rimpiazzata da investimenti intelligenti in efficienza energetica e fonti rinnovabili».
Greenpeace chiede al Governo del Giappone di non riavviare i suoi impianti nucleari e di favorire piuttosto lo sviluppo di efficienza energetica e energie rinnovabili per creare migliaia di posti di lavoro, migliorare l’indipendenza energetica del Paese riducendo le emissioni di gas serra, con la garanzia che nessuno dovrà soffrire di nuovo per il fallout di un prevedibile disastro nucleare. Greenpeace chiede anche la progressiva chiusura di tutti gli impianti nucleari nel mondo entro il 2035.
Oggi un team internazionale di 11 attivisti di Greenpeace ha scalato il Monte Fuji, in Giappone, per portare sulla vetta i messaggi di solidarietà alle vittime dell’incidente nucleare di Fukushima Daiichi raccolti in tutto il mondo attraverso twitter. I messaggi chiedono al governo giapponese di ascoltare finalmente i cittadini e di eliminare l’energia nucleare dal Paese.
Gli attivisti sono partiti prima dell’alba e hanno raggiungo la vetta intorno a mezzogiorno con condizioni meteo buone, ad eccezione del vento intorno ai 160 chilometri l’ora. Dalla sommità del monte gli alpinisti hanno steso cavi con bandiere colorate sulle quali sono stati scritti a mano i messaggi di solidarietà.
Nel frattempo un banner con la scritta «No Nukes» (nella foto del titolo una immagine di Jeremy Sutton-Hibbert di Greenpeace, N.d.R.) è stato aperto in prossimità del lago Kawaguchiko, con l’inconfondibile sagoma del Monte Fuji sullo sfondo.
Tra gli attivisti anche un italiano, Alessio Ponza, che ha commentato: «Per me è stato un onore fare parte di questo gruppo di attivisti, faticare lungo il pendio ghiacciato della montagna assieme a loro, per portare più in alto possibile il messaggio antinucleare nostro e di molte altre persone».
(Fonte Greenpeace)