E se il nuovo è da… buttare?

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Forse non ce ne accorgiamo ma ogni nostra azione, ogni scelta, è cadenzata sull’opposizione «vecchio/nuovo». Il nuovo è sempre considerato migliore e preferibile rispetto al vecchio. All’interno di questa macro scelta c’è tutta una serie di posizioni per cui non sempre il nuovo è meglio e il vecchio è da buttare

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Forse non ce ne accorgiamo ma ogni nostra azione, ogni scelta, è cadenzata sull’opposizione «vecchio/nuovo». Il nuovo è sempre considerato migliore e preferibile rispetto al vecchio. All’interno di questa macro scelta c’è tutta una serie di posizioni per cui non sempre il nuovo è meglio e il vecchio è da buttare.

Da questa contrapposizione non si può tirar fuori nessuno.

Per la ricerca genetica il nuovo è una vasta prateria di «creazioni». Non è difficile immaginare, dati i presupposti e gli orientamenti di certe scuole, che l’uomo resterà un modello. Che il passaggio successivo sarà un nuovo uomo e che presto il modello sarà vecchio e superato di fronte ai «bisogni» futuri. Immaginiamo un viaggio spaziale o semplicemente il sorvegliante di una catena di montaggio robotizzata.

Viene da ridere? Mica tanto. È di appena qualche mese fa l’uso del termine «rottamazione» applicato ai dirigenti del Pd. Si dirà che era un linguaggio figurato, ma un linguista o uno studioso del linguaggio sa bene che non è così.

Anche il termine clonazione sembrava qualche tempo fa uscito dai libri di fantascienza e invece si sta facendo strada nell’uso comune oltre che nei laboratori…

Ora il punto non è la freccia del progresso ma quella della stagnazione intellettuale. Identificare acriticamente ciò che è diverso dai modelli conosciuti come il nuovo e sentire la necessità, quando non il bisogno artatamente creato, per superare ciò che è noto come un fatto positivo, questa è stagnazione intellettuale.

Pericolosissima quanto i moderni creatori dell’ultim’ora. In questo caso non è possibile, è anzi sconsigliato, fare generalizzazioni. Le opzioni sono talmente tante che soltanto un’analisi caso per caso può far discernere il vero-nuovo dal vero-vecchio. E poi chi stabilisce il vero dal falso?

Questa è una strada da abbandonare.

Ma se affrontiamo la questione dal lato delle motivazioni, vedremo che si dipaneranno una serie di veli che ci faranno scorgere un orizzonte diverso.

Ipotizziamo che tutti i viventi della biosfera abbiano le stesse possibilità degli umani.

Costruiscano case per vivere, per vacanze, per ospitare altri. Costruiscano fabbriche e coltivino campi, fabbrichino mezzi di trasporto e magazzini per conservare il loro cibo… riuscite ad immaginare che cosa succederebbe? D’accordo, è fantascienza, ma ci dà plasticamente l’idea del nostro errato modello di sviluppo.

Non che noi dobbiamo condurre una vita essenziale basata sul vivere giorno per giorno, ma basterebbe avere la consapevolezza che non siamo soli sulla terra. Non solo, ma che gli altri esseri viventi concorrono alla nostra esistenza, fornendoci cibo, aria, acqua, materiale per vestirci e per fabbricare oggetti. Oltre ad avere un loro diritto di vivere. E poi, soprattutto, non lasciare tracce non biodegradabili dietro di noi…

Ma può questa consapevolezza essere una conquista intellettuale? Purtroppo no, può essere solo una conquista empatica, fatta di amore. Eh! Sì, una parola lontana mille miglia dal senso originale e che si è persa nei mille rivoli delle nostre sovrastrutture «culturali».

Una parola sezionata e divisa che si è persa fra la sublimazione data dalla religione e la sublimazione data dal materialismo.

Tirata di qua e di là in un numero innumerevole di testi religiosi, filosofici, etici, psicologici, sociologici. E tutto questo senza che in millenni di «civiltà» si siano fatti passi avanti verso una consapevolezza cosciente che facesse progredire l’essere umano. E tutt’ora caparbiamente continuiamo a sbagliare come dimostrano stragi, pazzie, odii, lotte di potere…

Eppure la spiegazione è sotto i nostri occhi. Ipotizziamo ancora una volta che tutti gli esseri viventi della biosfera, compreso l’uomo, smettano di obbedire a questa legge naturale della procreazione. Che non costruiscano più nidi e che le creature nate da rapporti puramente materiali vengano lasciati dove capita, che i semi al posto di cadere nel terreno finiscano in mare o fra le nuvole… che cosa sarebbe del pianeta Terra?

Ecco, caduti tutti i veli, cominciamo a vedere chiaramente l’orizzonte. Tutto quello che gli esseri viventi fanno punta alla propria esistenza e al mantenimento della vita. È la vita la nostra divinità. Un impulso innato nell’universo, dal mondo dell’invisibile a quello del visibile. Dall’attrazione atomica di base a quella delle galassie. Dallo scrivano medievale che ricopiava le cronache e il pensiero dell’uomo, al ricercatore informatico che stiva tutto lo scibile umano su hard disk sempre più capienti. Dall’alchimista al ricercatore che scruta e legge il Dna.

A questo punto la risposta alla domanda che cosa è nuovo e che cosa è vecchio, è semplice: tutto ciò che rispetta la vita dell’uomo e dei viventi, tutto ciò che non ostacola e non altera il corso della vita, tutto ciò che spinge ad apprezzare e a godere della vita è nuovo. Ma anche tutto ciò che è vecchio può essere sempre nuovo. Come la nascita di una nuova vita dal buio di una zolla, dall’utero di un animale sconosciuto in una foresta inesplorata o dall’uovo di un pesce nelle profondità fredde dell’Antartico.

Ma bisogna saperla riconoscere questa vita, non giocarci o inutilmente manipolarla. Albert Einstein scrisse: «La più bella sensazione è il lato misterioso della vita. È il sentimento profondo che si trova sempre nella culla dell’arte e della scienza pura. Chi non è più in grado di provare né stupore né sorpresa è per così dire morto; i suoi occhi sono spenti».