Come applicare i segreti del letargo

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In un futuro prossimo potrebbe essere utile in medicina se ci saranno applicazioni farmacologiche capaci di prevenire o curare patologie letali come l’ipotermia, l’ischemia, l’atrofia muscolare, le infezioni batteriche e le malattie tumorali

La notizia, forse non proprio fresca fresca, arriva dal Giappone. Che il letargo degli animali fosse regolato da meccanismi ormonali era già noto, ma certo mancavano informazioni dettagliate. Sembra, invece, che lo studioso Takashi Ohtsu, appartenente alla Kanagawa Academy of Science and Technology, abbia isolato l’ormone del letargo a partire dall’encefalo di un roditore, lo scoiattolo tamia. La scoperta, già annunciata sulla rivista «Cell» nell’Aprile del 2006, potrebbe ben presto trovare applicazione in ambito clinico, ad esempio in chirurgia vascolare e nei trapianti d’organo. L’ormone, derivato dal fegato, è stato chiamato Complesso proteina ibernazione-specifica (HPc): quando la concentrazione di HPc diminuisce nel sangue, per aumentare nel cervello, gli animali cadono in letargo; in caso contrario, sono prossimi al risveglio.

Analizziamo più dettagliatamente i meccanismi che conducono al letargo.

Il letargo, fenomeno naturale che permette a molti mammiferi di svernare, sopravvivendo alle condizioni più estreme, è un periodo di attività ridotta e di profonda modificazione delle funzioni organiche, in cui gli animali addormentati trascorrono il tempo in condizione di immobilità totale o parziale, senza assumere né cibo né bevande, in ripari appositamente scelti, generalmente sottoterra.

È bene dare al termine Letargo questo significato ristretto, che lo applica ai soli Mammiferi. Infatti, essendo questi ultimi animali omeotermi (a sangue caldo), possiedono, naturalmente, complessi meccanismi di termoregolazione, atti a mantenere relativamente costante la loro temperatura corporea. Ne consegue che il letargo di un omeotermo è davvero un fatto peculiare. Il battito cardiaco può rallentare fino a 1-2 pulsazioni al minuto, la diuresi è quasi del tutto inibita ed il metabolismo può arrestarsi sullo 0,2% dei valori ordinari.

È importante sottolineare come il letargo non possa essere indotto artificialmente, ad esempio mediante raffreddamento, in specie che normalmente non si ibernano: quando la temperatura corporea scende sotto i 25°C, l’animale muore. Si tratta, quindi, di un complesso meccanismo ereditario, che sopravviene in maniera del tutto spontanea in determinate condizioni. In effetti, la temperatura di un mammifero in letargo non si assesta su quella ambientale, come accade negli animali a sangue freddo (eterotermi), ma si stabilizza intorno ai 4°C, continuando ad utilizzare i suoi complessi meccanismi termoregolatori.

Il letargo appena descritto si presenta solo in alcune specie di mammiferi, a volte molto lontane nella classificazione sistematica, come monotremi, marsupiali, insettivori, chirotteri, e roditori. In particolare, il letargo è tipico di echidne ed ornitorinchi, ricci, moltissimi pipistrelli, marmotte, ghiri, criceti, citelli, moscardini e spermofili.

Un letargo meno radicale, con immobilità spesso interrotta e trasformazioni funzionali meno profonde, si riscontra fra i plantigradi: orsi, tasso, istrice, nittereute e skunk. Queste ultime specie, infatti, non presentano la cosiddetta Ghiandola dell’ibernazione o del letargo, organo caratteristico delle specie a letargo profondo, che, tuttavia, non risulta costituita da tessuto endocrino, ma da tessuto adiposo. Situata in addome e torace, si ramifica fino al collo, svolgendo un’importantissima funzione di riserva.

Altra forma di letargo, più irregolare e limitata a pochi giorni, è quella tipica di scoiattoli, opossum, procioni e moffette.

Col termine Svernamento o Ibernazione, invece, si indicano le forme di letargo tipiche degli invertebrati (es. chiocciole, insetti e crostacei) e degli animali eterotermi, per i quali lo svernamento è solo un periodo più stabile e prolungato di immobilità e torpore. Fra questi sono annoverate alcune specie di pesci, di anfibi e di rettili e questo tipo di letargo sembra sia da ascrivere alla rallentata capacità della loro emoglobina di provvedere agli scambi di ossigeno. Tuttavia, la maggior parte degli animali a sangue freddo non ha bisogno di ibernarsi, limitandosi a rallentare ogni funzione biologica.

La speranza di riuscire a condurre interventi delicati sull’uomo, mediante ibernazione, attualmente è molto viva in campo medico e biologico. In chirurgia, ad esempio, permetterebbe di contenere i rischi legati alle emorragie ed aprirebbe nuove strade alla criochirurgia di cuore e cervello e, in prospettiva, si potrebbe pensare di riuscire a conservare più a lungo gli organi destinati ai trapianti.

Anche la clinica potrebbe beneficiare presto di queste scoperte, se ci saranno applicazioni farmacologiche capaci di prevenire o curare patologie letali come l’ipotermia, l’ischemia, l’atrofia muscolare, le infezioni batteriche e le malattie tumorali.

Del resto, ciò accade già naturalmente negli animali in letargo.