Una diga affamerà oltre 200mila indigeni

399
Tempo di lettura: 2 minuti

La Gibe III dovrebbe essere completata entro il 2014, ma le devastanti conseguenze sociali e ambientali della sua costruzione hanno alimentato una massiccia opposizione

Alcune organizzazioni per i diritti umani, tra cui Survival International e Human Rights Watch, hanno duramente criticato la decisione della Banca Mondiale di finanziare le linee di trasmissione elettrica della controversa diga Gibe III, in Etiopia.

Il nuovo progetto infrastrutturale, appena approvato, contribuirà a condurre l’energia prodotta dalla famigerata diga idroelettrica etiope fino alla rete elettrica del Kenya.

La Gibe III dovrebbe essere completata entro il 2014, ma le devastanti conseguenze sociali e ambientali della sua costruzione hanno alimentato una massiccia opposizione.

La decisione di sostenere una tale controversa iniziativa viola le linee guida della Banca Mondiale sulla salvaguardia dei diritti dei popoli indigeni e sul reinsediamento forzato.

La diga minaccia di distruggere i mezzi di sussistenza e la sicurezza alimentare degli oltre 200.000 indigeni che vivono nella bassa Valle dell’Omo.

Il livello dell’acqua nel fiume non è mai stato tanto basso come in questo periodo, con conseguenze devastanti per l’autosufficienza di tribù pastorali come i Bodi, i Mursi e i cacciatori-raccoglitori Kwegu.

Oltre a ciò, di pari passo con le operazioni governative di spianatura delle terre della bassa Valle dell’Omo per la loro trasformazione in redditizie piantagioni di canna da zucchero e cotone (che potranno essere irrigate grazie alla presenza della diga), nell’area si stanno diffondendo anche violenti furti di terra, reinsediamenti forzati e abusi dei diritti umani.

L’Etiopia non ha consultato nessuna comunità indigena in merito alla costruzione della Gibe III o ai suoi aggressivi progetti agro-industriali, che devasteranno la bassa Valle dell’Omo, un sito riconosciuto dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.

La diga, inoltre, colpirà anche molte comunità tribali che vivono oltre il confine con il Kenya, vicino alle sponde del lago Turkana, il lago desertico più grande del mondo.

«Il bisogno di energia elettrica di Kenya ed Etiopia non dovrebbe essere usato come scusa per giustificare queste palesi violazioni dei diritti umani – ha commentato Stephen Corry, direttore generale di Survival International -. La Banca Mondiale ha deciso ancora una volta di sostenere un progetto infelice, che distruggerà le vite di centinaia di migliaia di persone. Oggi, questi popoli sono i più autosufficienti del Corno d’Africa, ma si vedono calpestare i loro diritti umani da un’organizzazione che anziché imparare dalla storia, continua a ripetere gli errori del passato».

(Fonte Survival International)