Covid-19 e inquinamento, facciamo il punto sulle conoscenze scientifiche

2797
inquinamento epidemie covid
Tempo di lettura: 6 minuti

Intervista ai ricercatori autori del primo studio pubblicato in peer-review sull’argomento

Dato il grande contributo dell’inquinamento atmosferico, con un aumento del 5-10% dell’inquinamento atmosferico, futuri patogeni (simili al virus che ha bloccato il mondo nel 2020) potrebbero peggiorare il bilancio dell’epidemia in Italia con un 21–32% in più di casi, di cui 19–28% di positivi in più e 4–14% di decessi in più

Negli ultimi mesi sono state diffuse dai media italiani numerose notizie riguardanti le ricerche che mettono in relazione l’inquinamento al Covid-19. Proprio di recente, uno studio Cnr-Arpa Lombardia ha, però, smentito che il virus Sars-CoV-19 venga trasportato dall’inquinamento atmosferico. Doverose precisazioni sono, però, necessarie poiché vi sono stati numerosi errori d’interpretazione in merito alle reali evidenze mostrate dagli studi. Sembra, infatti, che questa ultima ricerca Cnr-Arpa non smentisca affatto quanto scoperto ed evidenziato dal primo studio pubblicato dalla più importante rivista internazionale per quanto concerne il tema dell’inquinamento Environmental Pollution (dal titolo: Machine learning reveals that prolonged exposure to air pollution is associated with Sars-CoV-2 mortality and infectivity in Italy. «Environmental Pollution», 267, 115471, 2020) dal prof. Roberto Cazzolla Gatti (Biological Institute della Tomsk State University, Russia e KLI for Sustainability, Austria), dalla dott.ssa Alena Velichevskaya (Biological Institute della Tomsk State University, Russia), dal dott. Andrea Tateo (ARPA Puglia), dal dott. Nicola Amoroso (Dipartimento di Farmacia, Università di Bari) e dal dott. Alfonso Monaco (Istituto Nazionale Fisica Nucleare sezione di Bari) riguardo la prolungata esposizione e la maggiore suscettibilità al Covid-19 dei cittadini delle varie province e regione italiane.

covid 1Abbiamo chiesto agli autori di questo studio di fare chiarezza sullo stato delle conoscenze scientifiche in merito e su quali siano le differenze tra la loro ricerca e le altre pubblicate.

Nessuna smentita, dunque, al vostro studio dalle recenti ricerche pubblicate?

Riteniamo sia necessario porre l’attenzione sul fatto che il nostro studio non riguarda la (e non parla mai) degli effetti dell’inquinamento nel Veicolare o Trasportare il virus Covid-19. Noi abbiamo studiato come l’Esposizione prolungata all’inquinamento sia associata ad una maggior probabilità di infezione e un incremento della severità dei sintomi, financo la morte, per Covid-19; un aspetto assolutamente diverso da quelli recentemente trattati e, purtroppo, spesso travisato da moltissime testate giornalistiche.

Quindi la ricerca di Cnr e Arpa Lombardia non prova che non ci sia un effetto dell’inquinamento sul Covid-19?

Lo studio di Cnr e Arpa Lombardia, che ha riguardato solo la situazione lombarda, nega che all’aperto la diffusione del virus sia favorita dagli inquinanti. Il tema, come affermato dagli stessi autori, è controverso e infatti sono molteplici gli studi le cui analisi giungono a conclusioni diverse (ad es., Rapporto ISDE 2020 e Setti et al. 2020. Sars-Cov-2RNA Found on Particulate Matter of Bergamo in Northern Italy: First Evidence. Environmental Research, 109754). Tutti questi studi nulla dicono, invece, circa gli effetti della prolungata esposizione all’inquinamento atmosferico in relazione al Covid-19.

Qual è, dunque, l’unicità del vostro studio rispetto agli altri pubblicati successivamente?

Il nostro studio è l’unico riguardante la situazione nazionale pubblicato in peer-review ad aver analizzato con sofisticate tecniche di Intelligenza Artificiale quanto l’effetto dell’Esposizione prolungata all’inquinamento atmosferico possa rendere i cittadini delle regioni e delle province italiane più suscettibili all’infezione e contribuire alla mortalità da Sars-CoV-2019, rispetto ad altri fattori socio-economici potenzialmente collegati (come reddito, tamponi, posti letto in ospedale, fumo, obesità, etc.).

E quali sono le differenze con gli studi riguardanti l’esposizione effettuati dall’Università delle Marche e dal Cmcc?

Lo studio pubblicato dall’Università delle Marche riguarda una ricerca preliminare con risultati che dovevano essere interpretati più come generatori di ipotesi che confermativi e invitatava ad approfondire la ricerca per chiarire il ruolo dell’inquinamento atmosferico e degli altri fattori che potrebbero aver contribuito alla diffusione di Sars-CoV-2. Inoltre, questo studio ha utilizzato modelli lineari per comprendere l’associazione tra la pandemia e alcuni inquinanti selezionati.

Lo studio del Cmcc ha preso in considerazione i casi di Covid-19 in Italia solo nel primo trimestre del 2020, ha impiegato correlazioni lineari a breve termine tra i due fenomeni e, soprattutto, non ha analizzato gli effetti dell’esposizione prolungata all’inquinamento, ma solo i livelli durante il primo trimestre del 2020 (concomitante alla diffusione del Covid-19 in Italia). Questo studio, pertanto, non dice nulla sulla maggior suscettibilità dei cittadini alla prolungata esposizione all’inquinamento. È chiaro che qualche mese di aria inquinata non basta a rendere i sistemi respiratori e immunitari più infettabili dai patogeni; c’è bisogno di anni. Queste limitazioni rendono questa ricerca non paragonabile alla nostra.

Noi, invece, abbiamo esaminato le possibili ragioni per cui il nuovo coronavirus ha avuto un impatto diverso sulle popolazioni regionali e provinciali italiane con l’aiuto dell’intelligenza artificiale attraverso un approccio statistico multivariato, cercando di incorporare gli effetti prolungati di diversi fattori e le loro interazioni in un modello completo non lineare (un metodo di machine learning composta da foreste di alberi decisionali noto appunto come Random Forest). Abbiamo utilizzato dati riguardanti i tassi di mortalità e infettività standardizzati dei primi 6 mesi del 2020, l’esposizione prolungata (nei 5 anni precedenti all’esplosione della pandemia) ai 7 principali inquinanti rilevati da migliaia di misurazioni delle Arpa regionali e un indice complessivo di qualità dell’aria (Aqi), oltre ad aver incluso altri importanti elementi come età, stile di vita e fattori socioeconomici, per evitare i problemi di correlazioni spurie dei modelli lineari.

E con queste metodologie avanzate voi cosa avete scoperto?

Nel nostro lavoro, al contrario di tutti gli altri studi sinora pubblicati, abbiamo scomposto le fonti di inquinamento e le tipologie di emissione e scoperto che, tra le varie sorgenti, quelle che più contribuiscono sono (nell’ordine) industria, allevamenti intensivi e traffico urbano, mentre tra i contaminanti l’esposizione prolungata alle polveri sottili PM2,5 contribuisce molto più alla mortalità e infettività del virus rispetto ad altri inquinanti come NO2, SO2, PM10, O3, CO e benzene.

Covid 2Quindi non è tanto la presenza concomitante di inquinamento e virus nell’aria ad aumentare il rischio di contagio e decesso, quanto gli anni passati dai cittadini in territori inquinati?

Esatto. È noto da tempo che l’inquinamento atmosferico aumenti il rischio di malattie respiratorie, incrementando anche la suscettibilità alle infezioni virali e batteriche. La maggior parte degli studi si sono concentrati sul fatto che piccole particelle d’aria possano facilitare la diffusione dei virus e anche del nuovo coronavirus, oltre al contagio diretto da persona a persona. Tuttavia, gli effetti dell’esposizione al particolato e ad altri contaminanti su Sars-CoV-2 sono stati scarsamente studiati, soprattutto in Italia. Noi, invece, abbiamo esaminato le possibili ragioni per cui il nuovo coronavirus ha avuto un impatto diverso sulle popolazioni regionali e provinciali italiane e, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, abbiamo studiato l’importanza della prolungata esposizione all’inquinamento atmosferico nell’influenzare i tassi di mortalità e positività dell’epidemia di Sars-CoV-2.

Certamente i vostri risultati sono allarmanti…

Purtroppo sì. Abbiamo scoperto che tra diversi fattori ambientali, sanitari e socio-economici, l’inquinamento atmosferico e il particolato fine (PM2,5), come componente principale, sono i predittori più importanti degli effetti del Sars-CoV-2. Abbiamo anche scoperto che le emissioni delle industrie, delle fattorie e del traffico stradale, in ordine di importanza, potrebbero essere responsabili di oltre il 70% dei decessi associati a questo virus a livello nazionale.

Dato il grande contributo dell’inquinamento atmosferico, abbiamo previsto che, con un aumento del 5-10% dell’inquinamento atmosferico, futuri patogeni (simili al virus che ha bloccato il mondo nel 2020) potrebbero peggiorare il bilancio dell’epidemia in Italia con un 21–32% in più di casi, di cui 19–28% di positivi in più e 4–14% di decessi in più.

Ci sono, quindi, differenze sostanziali tra le varie regioni e province italiane?

Sì, abbiamo riscontrato che oltre la maggior parte dei decessi associati a Covid-19 nel 2020 in Italia sono stati registrati nelle regioni settentrionali dove, i risultati del nostro studio, mostrano chiaramente che la numerosa presenza di fabbriche, aree industrializzate e allevamenti intensivi gioca un ruolo importante per gli effetti sulla salute del Sars-CoV-2. Possiamo quindi affermare con discreta sicurezza che l’eccesso di mortalità da Covid-19 dovuto all’inquinamento atmosferico nel nord Italia non è casuale. L’Italia nord-occidentale, che comprende il primo triangolo industriale nazionale (chiamato anche To-Mi-Ge) corrispondente ai vertici di Torino, Milano e Genova, è l’area in cui si è verificato un esteso sviluppo industriale tra fine Ottocento e inizio Novecento.

Secondo un rapporto pubblicato nel 2019 dall’Agenzia europea per l’ambiente (Qualità dell’aria in Europa, 2018), la Pianura Padana, ovvero l’area compresa tra la catena alpina, l’Appennino settentrionale e il Mare Adriatico, è la regione più colpita dalla concentrazione di inquinanti atmosferici dell’intera Europa.

E il sud Italia sta messo meglio in termini di relazione Covid-19/esposizione all’inquinamento?

Il nuovo studio è stato in grado, inoltre, di rilevare come sei province abbiano registrato eccessi di mortalità rispetto a quanto predetto dal modello di intelligenza artificiale: 5 province del nord Italia (Cremona, Lodi, Piacenza, Bergamo e Brescia) hanno mostrato un eccesso di casi rispetto a quelli previsti dal rispettivo livello di inquinamento, confermando che altre cause locali e addizionali hanno aggravato gli effetti sanitari del coronavirus. Al sud, invece, la provincia di Siracusa su tutte, seguita da quelle di Taranto, Trapani e Agrigento hanno mostrato una carenza di casi osservati rispetto a quelli attesi, risultato che dovrebbe stimolare gli amministratori locali a ridurre l’inquinamento atmosferico delle province amministrate per contenere il rischio, immediato e futuro, di aggravare gli effetti delle epidemie respiratorie.

Cosa insegna, pertanto, il vostro studio che la politica italiana dovrebbe tenere in considerazione?

I nostri risultati dimostrano che il livello di inquinanti come il particolato fine (PM2,5) sia un fattore estremamente importante per prevedere gli effetti di Sars-CoV-2 e che questi potrebbero peggiorare significativamente anche con una leggera diminuzione della qualità dell’aria; queste conclusioni evidenziano che l’imperativo della produttività a discapito della salute e dell’ambiente è, in effetti, un proposito di breve termine e altamente pericoloso. È assolutamente necessario ridurre i livelli di inquinanti per evitare future catastrofi.

 

R. V. G.