Catania, rischio idrogeologico, progetti e professionalità

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Intervista a Michele Orifici, vice presidente Sigea

Opere strutturali e non strutturali per difendere il territorio e le comunità con una corretta progettazione in tempi di cambiamenti climatici e una rapidità delle istruttorie relative agli interventi da eseguire

È stata emessa oggi un’altra allerta rossa in Sicilia per venerdì 29 ottobre. Allerta arancione e gialla su ampi settori di Calabria e Sicilia. Persistono temporali e forti raffiche di vento nel Sud Italia. Nell’avviso meteo emesso si legge che il profondo minimo barico, attualmente presente a est dell’isola di Malta, tende a risalire verso le coste ioniche di Sicilia e Calabria meridionale, determinando una nuova fase di maltempo nel Sud Italia.

L’avviso, si legge, prevede dalle prime ore di domani, venerdì 29 ottobre, rovesci di forte intensità, locali grandinate, frequente attività elettrica e forti raffiche di vento.

E intanto sono due sono le Procure attive sulle tre morti registrate nel Catanese per i nubifragi che si sono abbattuti sul capoluogo etneo e la sua provincia nei giorni scorsi.

Noi di «Villaggio Globale» abbiamo voluto porre alcune domande a Michele Orifici, vice presidente della Società italiana di geologia ambientale (Sigea), geologo siciliano.

L’evento avvenuto a Catania rientra fra i cambiamenti climatici?

Le piogge registrate fra il 24 e il 26 ottobre a Catania evidenziano sicuramente la straordinarietà di un evento meteorologico. La sempre maggiore frequenza di tali eventi fa pensare che ognuno di essi possa rientrare fra gli effetti derivanti dai cambiamenti climatici in atto.

Quanto ha influito, rispetto alle piogge che ci sono state, l’urbanizzazione del territorio di Catania?

Io credo che abbia influito tanto. Quantitativi di pioggia notevoli associati a un territorio fortemente impermeabilizzato come è quello di Catania, hanno determinato il deflusso superficiale lungo le strade delle acque dai paesi etnei fino al centro di Catania.

L’impermeabilizzazione del suolo impedisce alle acque di essere assorbite e infiltrarsi nel sottosuolo andando a ricaricare, in maniera naturale, le falde idriche.

Quali secondo lei possono essere delle misure di prevenzione per evitare che ciò possa accadere ancora?

Bisogna lavorare sotto due aspetti: uno «non strutturale» e l’altro «strutturale». Di quello «non strutturale» penso che bisogna sempre di più lavorare affinché aumenti la «percezione del rischio». La «percezione del rischio» risulta essere sempre massima nell’immediatezza dell’evento ma poi cala fino quasi a scomparire a distanza già di alcune settimane. Non va bene. Occorre costruire popolazioni pronte e resilienti, consapevoli delle criticità a cui sono soggetti i luoghi in cui si vive, si transita o si lavora ed essere pronti, al verificarsi di una situazione emergenziale, a mettere in atto le misure di «autodifesa» che purtroppo spesso mancano. I piani di protezione civile, che ogni comune è obbligato ad avere, ad aggiornare periodicamente, a farlo conoscere e ad adottarlo sono, se attuati concretamente, uno strumento di guida straordinario nell’ottica delle azioni «non strutturali» perché al loro interno elencano le criticità del territorio, le situazioni di rischio, le azioni che ognuno deve fare al verificarsi dell’emergenza, le attività di formazione e informazione che con costanza devono essere eseguite. Penso anche che ogni ente, nell’ottica del costante monitoraggio del territorio e della efficace attività di prevenzione ordinaria, debba dotare la propria struttura di protezione civile di professionalità tecniche adeguate nella gestione delle pericolosità e del rischio geomorfologico, idraulico e sismico.

In relazione alle «misure strutturali», ovvero quelle che lavorano mediante opere ingegneristiche alla mitigazione della pericolosità e del rischio di un territorio, in merito a Catania rilevo che la priorità debba essere la realizzazione del «Canale di gronda», di cui si parla da circa un ventennio, che servirebbe a intercettare tutte le acque della fascia pedemontana etnea e che rappresenterebbe certamente una sostanziale soluzione alle problematiche idrauliche attualmente presenti.

Penso che i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) debbano guardare, tra l’altro, a investimenti nelle aree interne, nelle porzioni più alte del bacino idrografico, oggetto quasi ovunque nell’ultimo decennio di forte spopolamento. Occorre che siano adottate misure di investimento nell’ambito rurale per assicurare una rendita a chi decide di ritornare in quei luoghi e che al contempo assicurerebbe, attraverso la cura dei fondi, la regimentazione delle acque, la prevenzione degli incendi, ovvero una considerevole azione di salvaguardia in termini di dissesto geo-idrologico i cui effetti, da monte, si ripercuotono molto spesso nei settori di valle del bacino idrografico.

Ma se il «Canale di gronda» risulta essere una misura strutturale necessaria quali risultano gli ostacoli al completamento dello stesso?

I ritardi legati al progetto del canale di gronda, costruito solo in parte nel settore est, appaiono causati dalla mancanza di autorizzazioni ministeriali e dalla necessità nel tempo di adeguare progetti che costantemente risultavano via via superati. Si apprende che a breve, finalmente, sarà bandita la gara per la progettazione relativa al completamento con l’augurio che si faccia presto per non esporre più la città a ulteriori eventi devastanti come quello del 26 ottobre.

In un articolo un po’ datato de «Il sole 24 ore» si fa riferimento ai Fondi europei che in Sicilia non hanno trovato sbocco. Nell’articolo si parla di una scarsa capacità dei soggetti beneficiari a sviluppare una buona progettualità a cui si aggiunge una scarsa, per non dire inesistente, capacità dei comuni di avere progetti esecutivi o cantierabili tali da raggiungere il punteggio minimo per accedere ai finanziamenti… Inoltre, in un servizio andato in onda il 27 ottobre sul TGR Sicilia si parla della Corte dei Conti che boccia le regioni perché non sono in grado di usare tutti fondi per prevenire il rischio idrogeologico e nel servizio a parlare è Antonello Fiore , presidente della Sigea… cosa manca in Sicilia per poter realizzare progetti di difesa del territorio?

L’articolo risale al gennaio del 2020. Bisogna dire che negli ultimi anni il governo Musumeci mediante l’Ufficio del Commissario per l’emergenza idrogeologica hanno dato una fortissima accelerata agli investimenti sul dissesto idrogeologico impiegando 421 milioni di euro. Credo che la Sicilia in questo momento sia la prima regione per fondi investiti nell’ultimo biennio. Ieri proprio il Presidente Musumeci ha pubblicato un post su questo argomento al fine di fare chiarezza. In merito al servizio sul TGR Sicilia credo che sulla Sicilia giusto adesso si può dire veramente poco. In relazione alla mancanza di progettualità però occorre dire che i comuni, con i bilanci che hanno, non riescono a produrre progetti esecutivi per cui risulta necessario attivare i fondi di rotazione per consentire loro di potersi fornire di un parco progetti valido e necessario per attingere ai fondi per gli interventi.

Alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni, e le previsione meteorologiche non fanno prevedere uno scenario migliore a breve termine, come il mondo della ricerca, della professione può supportare le scelte politiche per veicolare progetti che permettano di mettere in sicurezza il territorio e la sua comunità e questo nel breve, medio e lungo periodo? Perché se è vero che i cambiamenti climatici stanno cambiando gli scenari ai quali eravamo abituati è anche vero che i territori e le comunità devono essere pronti ad assorbirne gli effetti… quali secondo lei gli step da seguire non più derogabili?

In merito a questa domanda, dal mio punto di vista credo che occorra assicurare a tutti gli uffici tecnici degli Enti le professionalità adeguate. Le piante organiche sono molto spesso carenti di figure professionali tecniche. L’assenza di ingegneri, geologi, architetti, agronomi, se guardiamo sia alla corretta progettazione in tempi di cambiamenti climatici e di adeguata risposta del territorio agli scenari che ci attenderanno sia alla rapidità delle istruttorie relative agli interventi da eseguire, è un handicap che deve necessariamente essere superato.

 

Elsa Sciancalepore