Camosci – Come catturarli senza danni

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Incontro fra esperti dei parchi italiani dove la popolazione di questi animali è particolarmente numerosa

Organizzato dal Parco in collaborazione con l’Agenzia regionale parchi del Lazio e il ministero dell’Ambiente, si è svolto nei giorni scorsi un workshop sulle «Tecniche di cattura del camoscio: esperienze a confronto». Al workshop hanno partecipato esperti provenienti da varie regioni d’Italia, in particolare dall’area alpina, dove, come è noto, è presente la maggiore concentrazione di popolazione di Camoscio dell’Europa. In particolare sono intervenuti tecnici dei parchi nazionali del Gran Paradiso e dello Stelvio, di alcuni parchi regionali, della Provincia di Trento, e dei parchi nazionali abruzzesi della Maiella e del Gran Sasso Laga. Molto importante il contributo di studiosi e ricercatori delle Università di Torino e Siena.

Obiettivo dell’incontro, è stato quello di confrontare, innanzitutto le esperienze di ciascuno, e poi quello di confrontare vari sistemi di cattura di questi animali, dalla telesedazione ai sistemi meccanici, discutendo dell’applicabilità di questi ultimi nel contesto del Parco. Uno dei tre giorni del workshop è stato dedicato all’uscita di campo per la verifica sul posto di uno dei possibili siti alternativi alla Val di Rose per la cattura dei camosci, in vista del proseguimento del progetto di reintroduzione del Camoscio appenninico nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

L’incontro, aperto dai saluti del direttore del parco Vittorio Ducoli, e coordinato dalla responsabile del servizio scientifico Cinzia Sulli, è stato definito dagli stessi partecipanti molto proficuo e stimolante ed ha contribuito a riunire, per la prima volta tutti insieme, coloro che in Italia si occupano di catture di camoscio; il confronto ha assunto sin dalle prime relazioni una forte concretezza affrontando tematiche legate alle metodologie utilizzate e analizzandone problemi e benefici.

Si è parlato quindi di catture tramite trappole, reti a caduta o tramite un innovativo sistema di cattura inventato dal gruppo dell’Università di Torino che fa capo ai professori Meneguz e Rossi. Sono stati messi a confronto anche i protocolli utilizzati sulle Alpi e sull’Appennino per la telesedazione degli animali analizzandone in maniera approfondita problemi e benefici. Il confronto a tutto campo è proseguito anche durante l’escursione nelle Mainarde.

I rappresentanti dei Parchi della Majella e del Gran Sasso hanno analizzato la fattibilità di catture all’interno delle loro aree a carico dei nuovi popolamenti formatisi a partire dai primi anni 90, anche allo scopo di considerare un loro apporto diretto al programma di reintroduzione.

Il workshop è stato concluso da una ampia e approfondita discussione su quanto visto il giorno precedente durante l’uscita di campo, discussione da cui è emersa la fattibilità della sperimentazione di nuovi sistemi di cattura di tipo meccanico nell’area delle Mainarde.

Secondo il Presidente del Parco Giuseppe Rossi, questo tipo di confronto tecnico scientifico è di assoluto rilievo e di grande utilità pratica. La discussione tra esperti e addetti ai lavori mette in condizione gli organismi interessati, e quindi anche il Parco, di considerare e valutare le altrui esperienze, allo scopo di migliorare costantemente la qualità degli interventi. La «manipolazione» della fauna protetta, seppure necessaria per ragioni di ricerca e conservazione, è attività molto delicata ed è quindi fondamentale operare tenendo nel debito conto le varie metodologie e le esperienze meglio riuscite.

Intanto continua la ricerca-monitoraggio in corso con l’Agenzia Regionale dei parchi del Lazio, mentre parte una nuova ricerca, coordinata dal prof. Sandro Lovari della Università di Siena, diretta a verificare la situazione e lo stato di salute della popolazione di camoscio nel Parco.

(Fonte Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise)