Nucleare… ma quanto mi costi?

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Il costo dell’impianto incide per il 65-70% sul costo dell’energia prodotta, mentre sulla restante parte pesa principalmente il costo del combustibile

Quando si parla di energia riemerge, periodicamente, la questione nucleare. Certamente il nodo non si risolve rispolverando vecchie polemiche e problemi già dibattuti (le scorie, i tempi di costruzione, la sicurezza…) ma guardando all’oggi e, possibilmente al domani.

Ammesso che domani ci sarà la centrale sicura e conveniente, una valutazione è possibile fare oggi: quella economica.

In altri termini costruire una centrale conviene?

Giriamo la domanda al prof. G.B. Zorzoli (ex Consigliere di Amministrazione dell’Enea e dell’Enel) che è attualmente presidente di Ises Italia.

«Discutere qui e ora su quanto verrà a costare il kWh nucleare è esercizio sterile, indipendentemente dalla posizione favorevole o contraria a questa tecnologia da chi lo fa. I numeri forniti da tali elucubrazioni, se interi e minori di 90, possono essere utilizzati solo per giocare al lotto (peccato che non esista la ruota di Montalto di Castro o di Caorso). È infatti impossibile conoscere a priori con sufficiente precisione quanto verrà a costare il kWh nucleare».

Ma proviamo a farlo sulla base dei dati in nostro possesso…

«In una centrale di questo tipo il costo dell’impianto incide per il 65-70% sul costo dell’energia prodotta, mentre sulla restante parte pesa principalmente il costo del combustibile, a sua volta somma di una componente industriale (arricchimento dell’uranio, fabbricazione e assiemaggio delle barre di combustibile), nota e stabile, e del costo della materia prima. Il costo di quest’ultima voce incide solo per un 10% circa sul costo del kWh, per cui anche significative variazioni nel prezzo dell’uranio lo modificano in misura contenuta. Un’incertezza assai modesta rispetto a quella determinata dall’incidenza del prezzo del gas naturale sul costo di un kWh prodotto da un ciclo combinato (70-80%). In altri termini, il rischio economico correlato all’andamento dei prezzi della materia e prima nel corso delle decine d’anni di funzionamento degli impianti è molto alto nel caso di un ciclo combinato, piccolo per un impianto nucleare».

Per un edificio è possibile calcolare il costo tanto che si stabilisce il prezzo di vendita, per una centrale che variabili giocano?

«La vera incognita che grava sul costo del kWh nucleare deriva dalla maggiore o minore incertezza con cui si conosce il costo dell’impianto. Discettarne in astratto, come si fa oggi, sulla base di indicazioni che ciascuno può scegliere come meglio gli conviene, non ha quindi alcun significato. Se ne sa un po’ di più solo dopo che un’azienda ha chiuso il contratto di acquisto di una centrale nucleare, sempre che sia “chiavi in mano”, cioè con il venditore che si assume la responsabilità completa della sua realizzazione. Assumiamo per semplicità che questa sia la soluzione adottata, tuttavia anche in questo caso rimangono ancora grosse incertezze sul costo effettivo dell’impianto».

Ma all’estero come si regolano? Solo in Italia ci sono queste difficoltà?

«Anche se, trattandosi di un primo esemplare di una nuova filiera tecnologica, in parte può essere giustificato, il drammatico incremento dei costi dell’impianto finlandese di Olkiluoto nel corso della sua realizzazione mette infatti in evidenza quanto possono pesare le clausole di variazione prezzi che di norma sono parte integrante della contrattualistica (solo per Olkiluoto a scopi promozionali si è previsto un prezzo fisso). E impianti di questa complessità e di queste dimensioni in fase realizzativa incorrono inevitabilmente in variazioni consistenti dei prezzi fissati inizialmente nel contratto. Supponiamo, però, di essere così fortunati (o abili) da riuscire a firmare il contratto con un fornitore disposto ad accollarsi per intero il rischio della variazione prezzi, per cui abbiamo la certezza che il prezzo scritto nell’accordo è proprio quello che pagheremo al fornitore. Ciò nonostante non sappiamo ancora quale sarà per noi il costo finale dell’impianto, su cui pesano infatti due incognite: le condizioni di finanziamento e la durata della costruzione che non sono fra loro indipendenti. I tempi di costruzione, di gran lunga superiori a quelli di un ciclo combinato (almeno di un fattore tre), impediscono di fatto di accedere a forme tradizionali di project financing, le cui condizioni sono tanto più vantaggiose quanto maggiore è la quota dell’energia che verrà prodotta collocata anticipatamente mediante Ppa (Power Purchasing Agreement, accordi preventivi di acquisto dell’energia) e minore quella che si ipotizza di vendere nel mercato spot sulla base di ragionevoli (e accettate dalla controparte finanziatrice) previsioni (merchant energy)».

Quindi i tempi sono fondamentali ma da quali variabili dipendono?

«Nel caso del nucleare, dati i tempi lunghi di realizzazione, in pratica si arriverebbe a una quota di merchant energy prossima al 100%, oltre tutto stimabile con maggiori margini di incertezza rispetto ai cicli combinati, rendendo molto problematico l’ottenimento di un project financing, che risulterebbe comunque talmente oneroso da penalizzare in misura rilevante il costo del kWh. Ne discende un paradosso:un impianto nucleare, anche con di produzione inferiori a quelli delle tecnologie alternative, incontrerebbe comunque enormi difficoltà di finanziamento in un mercato effettivamente liberalizzato. Infatti per il primo impianto di terza generazione (Olkiluoto) un consorzio di imprese finniche ha accettato di acquistare per dieci anni tutta l’energia prodotta dall’impianto a prezzi concordati, risolvendo così il problema della sua bancabilità. Lo stesso strumento è previsto dalla legge 99/09 per rilanciare il nucleare in Italia.

Tuttavia, anche dopo avere acquisito, grazie a questa soluzione, un finanziamento adeguato, rimangono incogniti gli effetti sul costo finale dell’impianto dei tempi effettivi di realizzazione. Per problemi esclusivamente interni alla gestione del progetto, l’impianto finlandese di Olkiluoto sta accumulando almeno tre anni di ritardo e anche il secondo impianto, quello francese di Flamanville, qualche ostacolo, finora di minore entità, lo ha già incontrato. E parliamo di due paesi in cui, a differenza del nostro, dove si deve mobilitare l’esercito per un termovalorizzatore o per una discarica, le opposizioni al nucleare sono modeste. Quanto reggeranno a probabili proteste locali gli strumenti sostitutivi contenuti nella legge 99/09? Quali saranno in Italia i ritardi realizzativi dovuti alle opposizioni al nucleare e quali effetti avrà questo rischio paese sulle clausole di finanziamento degli impianti? Difficile dirlo, ma di conseguenza è altrettanto difficile sapere a priori quale sarà l’effetto sul costo finale degli oneri finanziari che gravano sull’impianto durante la costruzione; oneri che aumentano non solo al crescere dei tempi di realizzazione, ma (se si prevedono allungamenti dovuti ad opposizioni) anche a causa del maggiore costo del finanziamento preteso dalle banche a copertura del rischio. Il costo del kWh nucleare lo si conoscerà dunque con ragionevole certezza solo dopo che l’impianto è stato completato e si è conclusa anche la fase di collaudo. Non prima».