La caccia alle biomasse non aiuterà a riqualificare i boschi, che potrebbero invece produrre legname di pregio con cicli di sfoltimento prudenti
Allarme del Wwf Piemonte: secondo un recente rapporto dell’associazione, la Regione Piemonte avrebbe deciso di sacrificare i propri boschi alla produzione di biomasse. Ed è subito polemica.
Secondo il Wwf infatti, la Regione Piemonte ha deciso di produrre il 20 per cento del proprio fabbisogno energetico da fonti rinnovabili. Tra le misure adottate ci sarà l’incentivazione delle biomasse. Per produrre energia saranno utilizzati ogni anno due milioni di metri cubi di legname, in base alla Legge forestale regionale 4/2009.
In realtà dal testo della legge non si desume molto. La sostanza sembra in gran parte delegata al regolamento e al piano regionale. Ma secondo il rapporto pubblicato dal Wwf «per produrre energia si prevede di utilizzare ogni anno 2,2 milioni di metri cubi di legname», e se fosse vero, sarebbe una scelta preoccupante.
Da tempo le comunità forestali richiedevano una politica di riqualificazione del bosco. I boschi italiani hanno subito per secoli l’impatto umano, perdendo il loro equilibrio originario, per questo il loro abbandono non è sempre positivo. Ma ci sono diverse strade per riavvicinare l’uomo al bosco: attività ambientali, culturali e ricreative, che valorizzano una biodiversità ancora non del tutto scomparsa (dal birdwatching all’eco-turismo) e attività di vera e propria gestione forestale.
Insomma, parte dei boschi potrebbe essere ri-naturalizzata, ossia portata a riacquistare l’equilibrio originario (il che non significa abbandono), mentre un’altra parte potrebbe essere gestita con finalità produttiva. Ma perché puntare sulle biomasse? Il nostro paese importa legname dall’Africa e dalla Russia, e carta dal Canada e dall’Indonesia. Logica vorrebbe incentivare la gestione forestale responsabile, magari certificata Forest Stevardship Council, per diminuire le importazioni di questi prodotti. Non certo incentivare l’utilizzo delle biomasse.
L’impiego di biomasse per la produzione di energia elettrica ha senso solo se strettamente legato al territorio, con impianti che non superano i 5 megawat elettrici, finalizzati ad assorbire il surplus di uno specifico bosco (potature boschive, cortecce e scarti, non certo i tronchi). Questo è un sistema efficiente e pulito, ma non basterà mai a coprire ampie fette di fabbisogno energetico.
Nel 2005 il Consorzio Biomassa Alto Adige, pioniere nell’utilizzo delle biomasse avvertiva: «in futuro sarà necessario studiare con grande attenzione in quali siti la costruzione di nuove centrali di teleriscaldamento sia ancora cosa sensata. La biomassa disponibile infatti potrebbe presto scarseggiare, mettendo così in moto una spirale dei prezzi…». Il Consorzio proponeva quindi di bloccare la costruzione di nuove centrali.
Se si sceglie di sovvenzionare l’impiego di biomassa come sistema, si incentiva il mercato dei cippati e dei pellet, avviando una spirale di non ritorno. Queste sono merci globali che rispondono solo a due fattori: prezzo e disponibilità. Insomma, si finirà con una impennata delle importazioni di fibre illegali dall’Est europeo, o dalle foreste primarie della Tasmania. L’Italia è già il primo importatore mondiale di legna da ardere (per lo più dall’Europa orientale) secondo importatore europeo di chip e pellet. Le biomasse già fanno concorrenza a altre industrie divoratrici di legname: le cartiere e i produttori di pannelli. Bastano le nostre foreste ad alimentarli tutti? Non bastano. C’è davvero bisogno degli incentivi alle biomasse?
La caccia alle biomasse non aiuterà a riqualificare i boschi, che potrebbero invece produrre legname di pregio (la quercia e il faggio che vediamo sono quasi tutti di importazione) con cicli di sfoltimento prudenti, basati sulla singola pianta, sulla qualità del suo legno, sul suo rapporto col bosco. Le biomasse invece si basano su cippati indifferenziati, e su volumi produttivi decisi a monte. Ma il bosco non è una miniera. È un ecosistema.
(Fonte Salva le Foreste)