Piattaforme offshore in Italia

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Interpellanza ai ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente affinché si alzi il livello di guardia su questa problematica dai risvolti piuttosto delicati. Dopo il golfo del Messico una fuoruscita anche in Egitto

 

 

Grandi quantità di petrolio sono apparse negli ultimi giorni attorno alla località di Hurghada (Egitto) che attira ogni anno milioni di turisti da ogni parte del mondo interessati alle immersioni o allo snorkeling.

Secondo la Hurghada Environmental Protection and Conservation Agency (Hepca) la fuoruscita proviene da una piattaforma petrolifera situata a nord di Hurgada che ha inquinato circa 160 chilometri di coste. Concordi sull’individuazione dei responsabili anche i gestori delle compagnie petrolifere nella zona di Suez.

Dopo l’analogo incidente, ma dal potenziale distruttivo decisamente più importante, nel Golfo del Messico, tuttora irrisolto, purtroppo i casi drammatici di questo tipo continuano a susseguirsi e ci si interroga così sulla opportunità di continuare su questa strada.

Una piattaforma petrolifera e la sua esistenza hanno un «perché» anche abbastanza apprezzabile dal punto di vista dell’utilità economica: è un’imponente struttura metallica, utilizzata per l’esplorazione di aree marine, ove sono locati potenziali giacimenti di idrocarburi e allo stesso tempo le piattaforme vengono utilizzate anche per la perforazione di pozzi petroliferi, nel caso sia stata provata l’esistenza del giacimento.

Ma i rischi ambientali strettamente connessi a quest’attività sono stati davvero presi in considerazione, anche in territorio italiano?

 

«Anche se le perforazioni offshore in Italia avvengono a profondità molto inferiori (150-200 metri) rispetto ai 1.500 metri dell’impianto della Louisiana, i rischi legati all’attività estrattiva delle piattaforme petrolifere non possono essere sottovalutati e le conseguenze di un incidente che si verificasse in prossimità delle coste dell’Adriatico sarebbero catastrofiche per l’intero bacino, stante la sua caratteristica di mare semichiuso ed il suo fragile equilibrio ambientale».

È questo il segnale di fumo lanciato dal sen. Giuseppe Astore con la sua interpellanza, firmata anche dai colleghi Senatori Della Seta, Ferrante e Burgaretta Aparo, rivolta ai ministri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente affinché si alzi il livello di guardia su questa problematica dai risvolti piuttosto delicati.

«Delle 115 piattaforme estrattive offshore italiane (99 dell’Eni e 16 dell’Edison) le principali si trovano in Adriatico e nel canale di Sicilia. A queste vanno aggiunte le piattaforme mobili già operanti per la ricerca di nuovi giacimenti, nonché le 16 nuove piattaforme, per la maggior parte appartenenti a compagnie straniere come Northern Petroleum, Petroceltic e Puma, recentemente autorizzate dal governo italiano ad iniziare i sondaggi in Puglia, Emilia Romagna, Marche, Sicilia, Sardegna, Abruzzo e Molise». Questo il punto focale della vicenda: nuove autorizzazioni in territorio italiano. E quindi nuovi rischi da gestire preventivamente.

In questo contesto, si fa allora sempre più pressante la necessità di uno sviluppo dell’energia rinnovabile e soprattutto pulita. Libera dal fardello delle proprie conseguenze.