È stata evidenziata a largo di Panarea una zona con un’attività vulcanica in atto, grazie all’utilizzo dei pesci come bioindicatori di aree geotermiche sottomarine. Quest’area, caratterizzata da intensa attività batterica sembra che sostenga la vita delle comunità di molluschi e tunicati presenti in quella zona
Una nuova zona di effusione vulcanica sommersa è stata individuata a largo di Panarea, l’isola più antica e più piccola dell’arcipelago eoliano, che con gli altri isolotti circostanti è ciò che resta di fenomeni eruttivi di un unico bacino vulcanico oramai eroso e del tutto sommerso.
Questa nuova area è localizzata tra i 100 e i 200 metri di profondità caratterizzata da una intensa attività batterica strettamente legata all’emissione vulcanica sottomarina che sembra che sostenga la vita delle comunità di molluschi e tunicati presenti in quella zona.
Questi batteri svolgerebbero con lo zolfo, portato in superficie dai fluidi geotermici, quello che i vegetali fanno con il sole, cioè trasformano l’energia chimica in energia biologica. Se questo venisse confermato sarebbe una importantissima scoperta per la biodiversità marina.
Lo studio si è dimostrato originale non solo per i risultati ottenuti ma anche per il metodo utilizzato, infatti è laprima volta che la fauna ittica viene utilizzata come bioindicatore di aree geotermiche sottomarine.
I ricercatori hanno tracciato virtualmente, a poche miglia di distanza dall’isola eoliana, un reticolo dal quale hanno prelevato un pesce ogni 500 metri, e analizzandoli, hanno riscontrato un tasso di contaminazione di origine geotermica che ha consentito di focalizzare alcuni punti dell’emissione vulcanica.
Questa ricerca sulla biodiversità marina in ambienti geotermici, che ha portato all’individuazione di una nuova e importante area, è stata condotta dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in collaborazione con l’Università degli studi di Siena, la Stazione Zoologica di Napoli, l’Università Politecnica delle Marche e l’Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia).
Il progetto è stato eseguito grazie all’utilizzo del robot sottomarino della nave oceanografica Astrea dell’Ispra che ha rilevato tra i 100 e i 200 metri di profondità delle chiazze di fluidi geotermici che portano zolfo in superficie evidenziando un’attività vulcanica in atto.
Il robot ha rilevato delle macchie gialle che rappresentano appunto l’attività batterica legata strettamente all’emissione che la caratterizza che sosterrebbe di fatto la vita delle comunità dei molluschi e tunicati presenti in quella zona, grazie alla trasformazione da parte dei batteri dello zolfo in energia biologica.
Il responsabile del progetto e dirigente della ricerca Ispra, Franco Andaloro, ha dichiarato che «il successo di questo studio non solo ha portato alla messa a punto di un tecnica replicabile su ampia scala per lo studio del geotermismo profondo mediterraneo, ma va ben oltre il primo risultato: le forme di vita ritrovate nella zona di emissione, attualmente oggetto di studio e che si ipotizzano strettamente associate all’attività vulcanica, possono svelare nuovi orizzonti scientifici nello studio della biodiversità marina».
«Il metodo, applicato per la prima volta alla ricerca di aree vulcaniche sommerse – spiega il professore ordinario dell’Università di Siena, Silvano Focardi – può aprire nuove frontiere nella collaborazione tra ecologi e vulcanologi».
Il dirigente di ricerca dell’Ingv, Paolo Favali, ha affermato che «il ritrovamento della zona geotermica mostra un bellissimo esempio di come diversi dominii, come la geosfera con l’idrosfera e la biosfera, ovvero la terra, l’acqua e la vita, siano in realtà strettamente interconnessi», evidenziando uno stretto legame tra mare, vulcani e vita.
«Se confermata dagli approfondimenti in corso questa scoperta rappresenterebbe il primo caso del genere in tutto il bacino Mediterraneo a simili profondità» ha detto il prof. Roberto Danovaro dell’Università Politecnica delle Marche.
I risultati della ricerca hanno riscosso l’interesse della comunità scientifica che, proprio in questi giorni, si è riunita per studiarli ed eventualmente confermarli.
Questa ricerca si sta mostrando importante non solo per quanto riguarda lo studio di biodiversità marina ma anche per un uso dei pesci come bioindicatori di aree geotermiche. E questo potrebbe essere di grande sostegno ad un’ulteriore sviluppo delle energie geotermiche come una delle principali fonti energetiche, come già avviene in Toscana da anni.