Mercurio – Gli effetti dell’inquinamento in tavola

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Il mercurio viene ingerito dal plancton di cui si nutrono i pesci, concentrandosi lungo i vari livelli della piramide alimentare. Si calcola che tonni, palombi, pesci spada, anguille e lucci possano avere una concentrazione di mercurio fino a 27.000 volte in più rispetto alle acque in cui vivono

Abbiamo detto più volte che il pesce, più di altri alimenti, è facilmente deperibile e quindi attaccabile dai microrganismi patogeni. Per questa ragione, i prodotti ittici, soprattutto se consumati crudi, possono veicolare malattie infettive e parassitarie. Tuttavia la contaminazione microbiologica non è l’unica a destare interesse o preoccupazione. Non sono da trascurare, infatti, né la produzione endogena di biotossine, come nel caso di pesci velenosi quali il pesce palla (Fugu giapponese), né le contaminazioni ambientali. Fra i contaminanti di maggiore interesse sono sicuramente i metalli pesanti e, nel caso del pesce, soprattutto il mercurio.

Il mercurio è un metallo naturalmente presente in natura, che, a temperatura ambiente, si trova in forma liquida. Questo stato non è assolutamente tossico; lo sono i vapori, se inalati, i sali inorganici solubili e tutti i derivati organici, fra cui il metilmercurio, noto prodotto delle lavorazioni industriali.

Il problema della contaminazione da mercurio, infatti, è proprio questo: lo scarico dei reflui delle fabbriche. Quando lo smaltimento non viene effettuato in maniera corretta, il mercurio può contaminare le acque con gravi ripercussioni sulla catena alimentare delle popolazioni ittiche. Il mercurio presente nell’acqua viene solitamente ingerito dal plancton di cui si nutrono i pesci, concentrandosi sempre di più lungo i vari livelli della piramide alimentare. È questo il motivo per cui sono proprio i grandi predatori a presentare i livelli più elevati di mercurio. Si calcola che tonni, palombi, pesci spada, anguille e lucci possano avere una concentrazione di mercurio fino a 27.000 volte maggiore di quella presente nelle acque in cui vivono.

Dal pesce all’uomo vi è poi un ulteriore passaggio, accompagnato da un ulteriore processo di concentrazione. L’ingestione prolungata di pesce contaminato può provocare il cosiddetto fenomeno del bioaccumulo e, superata la soglia critica, causare problemi di natura neurologica.

Fra le acque più contaminate, attualmente spiccano quelle del Reno, in Germania, sebbene negli anni 50 furono i giapponesi della baia di Minamata ad essere gravemente colpiti da questo tipo di intossicazione, a causa degli scarichi di una fabbrica che operava nelle vicinanze.

Come dimostrano questi avvenimenti, il problema della contaminazione mercuriale attiene esclusivamente all’accumulo di questa sostanza e quindi dipende dalla quantità ingerita e dal tasso di inquinamento ambientale. Cibarsi di pesce proveniente da allevamenti controllati o acque sicure mette al riparo da un’eventuale intossicazione, così come preferire le specie che non sono ai vertici della catena alimentare. Fra queste sono i pesci ricchi in grassi essenziali, quali salmone, sgombro, aringhe e sardine. Anche il tonno in scatola è un prodotto sicuro, poiché proviene in gran parte dagli oceani, acque con un tasso di inquinamento molto minore rispetto a quello del nostro Mediterraneo.

Infine, a scopo cautelativo, non si dovrebbe esagerare nella somministrazione di specie a rischio verso tutte quelle categorie di persone più deboli, come malati, bambini, anziani e donne in gravidanza.