I fiumi del sud del mondo? Un disastro

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L’Associazione chiede ai Governi di impegnarsi per un futuro senza sostanze tossiche e di adottare misure in grado di eliminare progressivamente l’utilizzo e il rilascio di sostanze pericolose fino a raggiungere l’obiettivo «Scarichi Zero»

Greenpeace pubblica oggi il rapporto «Danni sommersi» e rivela gli elevati costi finanziari, ambientali e sociali che l’inquinamento industriale ha provocato negli ultimi decenni nei Paesi del «Nord del mondo». Il documento è a beneficio di chi oggi, nei Paesi emergenti, deve proteggere le proprie risorse idriche e impegnarsi a raggiungere un futuro senza sostanze tossiche.

«Nei Paesi occidentali l’inquinamento delle acque da composti chimici pericolosi ha determinato così tante difficoltà tecniche, economiche e politiche da essere ingestibile – denuncia Vittoria Polidori responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace -. Vogliamo mettere a disposizione dei Paesi emergenti le nostre drammatiche esperienze perché essi sappiano difendersi, visto che è proprio lì che è stata trasferita gran parte della produzione chimica e manifatturiera».

I fiumi Chao Praya in Thailandia, Neva in Russia, Marilao nelle Filippine e Yangtze in Cina forniscono acqua a uso potabile, domestico e agricolo per grandi aree rurali, così come per metropoli quali Shangai, Bangkok e S. Pietroburgo. Anche se invisibili all’occhio umano, le sostanze persistenti nell’ambiente, bioaccumulanti (ovvero capaci di accumularsi nella catena alimentare) e tossiche presenti nelle acque di questi fiumi sono estremamente pericolose per la salute umana e, in pratica, impossibili da eliminare quando disperse.

I governi dei Paesi emergenti hanno l’opportunità di evitare gli errori che noi abbiamo già commesso. Il rapporto descrive alcuni «casi studio» come le esose opere di bonifica dei fiumi Hudson negli Stati Uniti e Laborec in Slovacchia, entrambi fortemente contaminati da policlorobifenili (Pcb), composti chimici oggi vietati. Nel report si segnala poi il caso del Delta del Reno, con le difficoltà incontrate per decontaminare il bacino fluviale dalle sostanze pericolose che vi erano state rilasciate e quello di una discarica in Svizzera, riempita di rifiuti pericolosi prodotti da industrie chimiche e farmaceutiche.

«I danni arrecati dall’inquinamento industriale alla salute, all’ambiente e alle economie locali raramente sono presi in considerazione – continua Polidori -. Ancor più difficile è che questi danni siano compensati, non perché essi sono impossibili da calcolare, ma perché è difficile identificare chi inquina e, ancor di più, imporre il principio che chi inquina paga».

Greenpeace chiede ai Governi di impegnarsi per un futuro senza sostanze tossiche e di adottare misure in grado di eliminare progressivamente l’utilizzo e il rilascio di sostanze pericolose fino a raggiungere l’obiettivo «Scarichi Zero».

La versione completa del rapporto in inglese

(Fonte Greenpeace)