I maggiori produttori di rifiuti alimentari sono le famiglie, seguite dalle imprese di produzione alimentare, dalla ristorazione e dalla catena di distribuzione al dettaglio e all’ingrosso
Lo studio europeo «Preparatory study on food waste across Eu 27» esamina le responsabilità e le motivazioni dello spreco alimentare oggi presente nell’Unione europea, valutandone l’impatto ambientale ed offrendo suggerimenti per ridurre questa particolare tipologia di rifiuti.
I maggiori produttori di rifiuti alimentari sono le famiglie, seguite dalle imprese di produzione alimentare, dalla ristorazione e dalla catena di distribuzione al dettaglio e all’ingrosso.
Le famiglie risultano essere le maggiori responsabili dello spreco alimentare (93% del totale), la causa di questo è da ricercare soprattutto nell’abitudine di eccedere negli acquisti e nel consumo di alimenti, ma anche nelle informazioni non chiare, inadeguate e talvolta addirittura carenti, presenti sulle etichette delle confezioni circa la data di scadenza e le modalità di conservazione.
Altri grandi produttori di scarti alimentari, dopo le famiglie, risultano essere le attività produttive operanti nel settore alimentare, queste contribuiscono per il 39% alla produzione di rifiuti costituiti per lo più da ossa, carcasse ed organi di animali, ma anche da cibi contenuti in scatole rotte e/o deformate, che non possono essere immesse nel circuito distributivo.
La ristorazione si posiziona al terzo posto, incidendo per il 14% mentre le attività commerciali di distribuzione alimentare al dettaglio o all’ingrosso per il 4%.
La mole di rifiuti alimentari gettati via ogni anno ha conseguenze ambientali da non sottovalutare: secondo quanto riportato nello studio europeo, gli scarti alimentari produrrebbero 170 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno (pari al 3% delle emissioni totali presenti nell’Ue nel 2008).
Per fare fronte a questa situazione la ricerca «Preparatory study on food waste across Eu 27» propone alcune misure da realizzare a livello comunitario e negli stati membri, al fine di ridurre la produzione di rifiuti alimentari.
Lo studio punta sulle campagne di sensibilizzazione del tipo di Wrap’s ovvero «Ama il cibo odia i rifiuti», sugli strumenti informativi (linee guida e manuali di prevenzione specifici per il settore alimentare) e sulla formazione (formazione per il personale che lavora nel settore alimentare, su come cucinare senza sprechi; laboratori per i consumatori). Propone anche la predisposizione di sistemi di miglioramento della logistica (ad esempio miglioramenti nella gestione degli stock per i rivenditori, criteri di prenotazione per le mense, flessibilità negli ordini negli ospedali); sulla definizione di griglie per la misurazione dei rifiuti alimentari (es. quantificazione ed analisi della composizione di rifiuti alimentari provenienti dalle famiglie, dai ristoranti o dalle scuole); sulla promozione di programmi di ricerca e sull’attuazione di sistemi di raccolta differenziata delle frazioni alimentari; sull’immissione del cibo avanzato in circuiti di re-distribuzione ed infine sullo sviluppo di impieghi industriali di trasformazione dei rifiuti alimentari, come nel caso della lavorazione del pesce.
Ad oggi, secondo quanto riportato dallo studio europeo, non è possibile fornire risultati quantitativi circa l’applicazione delle misure di prevenzione sopra descritte perché la misura di impatto è stata di rado misurata, soprattutto nelle azioni realizzate a livello locale.
Molte iniziative sono state lanciate di recente e ma i risultati non sono ancora oggetto di misurazione, in quanto siamo ancora ad una fase iniziale di sviluppo delle attività preventive di riduzione dei rifiuti di tipo alimentare.
(Fonte Arpat)