Il nubifragio di Roma non è un evento eccezionale

391
Tempo di lettura: 3 minuti

– Nulla di buono dalle previsioni

Nei giorni scorsi la Capitale è stata interessata all’alba da un temporale di forte intensità che ha causato un morto e copiosi allagamenti in più parti della città, paralizzandola. L’evento è stato di particolare intensità ed ha interessato l’intera area metropolitana; le stazioni pluviometriche presenti hanno registrato, nell’arco di tre ore, in millimetri di pioggia (ogni millimetro di pioggia, riferito a una superficie di 1 mq, corrisponde a 1 litro d’acqua) i seguenti valori: Zona Tiburtina 125, Zona Castro Pretorio 122, Zona Eur 117.

Da subito il sindaco di Roma, indossando la maglia della Protezione civile, che ha come principio di base la previsione, la prevenzione e il soccorso, ha dichiarato che «il servizio meteo ci aveva preavvertito di semplici temporali nel Lazio e non della possibilità di un nubifragio e questo non ci ha consentito di prepararci, predisponendo le misure di emergenza e così abbiamo dovuto seguire gli eventi». A dire il vero l’avviso della Protezione civile del 19 ottobre allertava dell’arrivo di una perturbazione atlantica che nella notte tra il 18 e 19 avrebbe attraversato parte del Paese, prevedendo nelle regioni centrali, nelle prime ore di giovedì 20 ottobre, precipitazioni localmente di forte intensità. Credo sia utile precisa per altri amministratori che leggono i comunicati della Protezione civile che nubifragio non è un termine tecnico e non è pertanto utilizzato negli avvisi; si parla sempre di temporali che hanno una scala d’intensità da 1 (20-30 mm di pioggia) a 5 (100 – 130 mm di pioggia). Leggere nelle parole di un amministratore una giustificazione mi ha dato l’impressione di una primordiale e sincera improvvisazione. Pur avendolo saputo prima o intuito, che cosa avrebbero potuto fare? Non si è trattato dello straripamento del Tevere o dell’Aniene, che hanno continuato regolarmente nel loro alveo la corsa verso il Mar Tirreno, con conseguente alluvione ma di allagamenti di aree urbane. Poteva consigliare ai cittadini di restare a casa; di parcheggiare le auto in collina, di abbandonare dalle prime ore dell’alba tutti i vani interrati. Fino a un certo punto la prevenzione può essere comportamentale, nella maggior parte dei casi, come questo di Roma, è infrastrutturale.

Il giorno dopo gli eventi ci sembra che alcune cose dette dagli esperti le abbiamo già sentite: consumo di suolo con aumento della superficie impermeabile e conseguente riduzione delle infiltrazioni, consumo di suoli e paesaggi a scapito dell’urbanizzazione, mancanza d’infrastrutture per lo smaltimento delle acque piovane, infrastrutture inadeguate poiché realizzate molti anni dopo le progettazioni nelle quali le stime dei volumi di pioggia da smaltire si sono basate su valori che non corrispondono più al regime pluviometrico attuale (piogge brevi e intense). La descrizione dei tombini delle fogne bianche (quelle che drenano e allontanano solo le acque di pioggia) che si sollevano come la valvola della pentola a pressione è indicativa dell’insufficiente capacità di allontanamento delle acque da parte delle fogne bianche.

Le acque non allontanate evidentemente defluiranno e allagheranno le zone più depresse. L’evento come quello di Roma è da considerare eccezionale, ma sembra che dobbiamo necessariamente iniziare a considerarli sempre più ordinari; nella stessa capitale solo nell’ottobre del 2008 in tre ore precipitarono 83,6 millimetri di pioggia. Le conseguenze degli allagamenti nelle aree urbane non sono solo dirette, con perdita o danneggiamento di beni e interruzione di servizi e attività lavorative, ma anche indirette e di tipo ambientale-sanitario. Il rischio che le acque abbiano messo in circolo sostanze inquinanti chimiche e biologiche non è secondario; come anche eventuali interferenze dei ristagni di acqua con le fondazioni degli edifici o l’indebolimento con conseguente crollo di cavità sotterranee.

In attesa di un vero riordino che programmi la manutenzione delle opere di difesa dei cittadini dai rischi naturali e antropici; che adegui le infrastrutture non idonee; che progetti interventi di nuova urbanizzazione secondo criteri di sostenibilità, dobbiamo prepararci ad affrontare situazioni analoghe a quella di Roma. Gli amministratori non si aspettino di leggere sugli avvisi della Protezione civile, prima di decidere quale azione di prevenzione adottare, il termine «nubifragio», perché non lo leggeranno mai.

Se non riusciamo a tutelare i beni, almeno salvaguardiamo le vite umane, evitiamo di realizzare vani interrati dove le acque superficiali e sotterranee possano defluire, a Roma la vittima è deceduta poiché si trovava nella sua abitazione in un vano interrato allagatosi. Toponomastica nefasta quella dell’incidente «Infernetto». Questa si trova nella zona sud della Capitale, in un’area un tempo paludosa bonificata negli anni Trenta, dove la falda si rinviene spesso a pochi centimetri dal piano di calpestio. In questi anni sono state tante le persone che hanno perso la vita in eventi associati ad allagamenti o alluvioni, molte sono annegate nelle loro auto finite in un sottovia allagato, dovremmo cercare di partire almeno da prevenzioni semplici come l’installazione di sistemi di blocco automatico del transito delle strade e dei sottovia a rischio.