Cicloni tropicali causati dalle attività umane

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L’intensificazione dei cicloni tropicali osservati nel Mar Arabico e in tutta la parte settentrionale dell’Oceano Indiano è stata causata dall’inquinamento atmosferico ed in particolare dall’inquinamento da polveri nere, polveri incombuste provenienti dalla combustione di combustibili fossili e da altri inquinanti

Secondo una ricerca apparsa nel numero odierno di «Nature» effettuata da ricercatori della Noaa (l’Ente americano per l’atmosfera e gli oceani), dell’Università della Virginia, dell’Università di California e dell’Istituto di Scienze e Tecnologie della Corea, l’intensificazione dei cicloni tropicali osservati nel periodo 1979-2010 nel Mar Arabico e, in genere, in tutta la parte settentrionale dell’Oceano Indiano è stata causata dall’inquinamento atmosferico ed in particolare dall’inquinamento da polveri nere, polveri incombuste provenienti dalla combustione di combustibili fossili e da altri inquinanti legati alle attività umane.

In quell’area, infatti, staziona, ormai da oltre un decennio la famosa «nuvola marrone asiatica» che copre la parte meridionale dell’Asia fra il Pakistan, l’India e la Cina e che deriva dal traffico caotico e delle emissioni di un’industria molto inquinante dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti di quell’area.

La formazione di un ciclone tropicale (come sono appunto gli uragani dell’Atlantico o i tifoni del Pacifico) richiede particolari condizioni: innanzitutto un forte riscaldamento delle acque oceaniche, poi, condizioni termo-igrometriche dell’atmosfera sovrastante le acque oceaniche favorevoli allo sviluppo di intensi moti verticali e, infine, condizioni anemometriche lungo la verticale tali da non bloccare l’intensificazione dei moti convettivi, che possono così svilupparsi fino a dar luogo al ciclone tropicale.

Quando il Mar Arabico si riscalda intensamente durante l’estate boreale ed è, quindi, nelle condizioni adatte per innescare intensi cicloni tropicali, raramente però si verificano le altre condizioni necessarie sopraddette. Infatti, nello stesso periodo dell’anno si sviluppa un’intensa circolazione monsonica che impedisce la formazione di cicloni tropicali.

La circolazione monsonica è determinata dal forte riscaldamento del continente asiatico rispetto all’oceano Indiano, e genera di conseguenza forti venti che, nei bassi strati atmosferici, spirano dall’oceano Indiano verso il continente asiatico e che, negli strati più alti dell’atmosfera spirano in direzione opposta, cioè dal continente asiatico all’oceano Indiano. La forte variazione verticale della direzione del vento (detta «shear» del vento) impedisce lo sviluppo di moti convettivi verticali e i cicloni tropicali sul Mar Arabico possono eccezionalmente formarsi solo nella fase pre-monsonica (fine primavera) o post monsonica (inizio autunno).

Il fatto che nel periodo 1979-2010 sia aumentata l’intensità dei cicloni tropicali sul Mar Arabico è attribuita dagli autori di questa ricerca, all’indebolimento della circolazione monsonica. E tale indebolimento è causato dal forte inquinamento atmosferico generato dalle attività umane inquinanti in India e nel sud dell’Asia, che generano la grande «nuvola marrone asiatica», spessa anche qualche kilometro, ampia fino a oltre una decina di milioni di km2 e composta appunto da polveri carboniose. Questa grande nuvola cattura l’energia solare, in parte assorbendola, in gran parte riflettendola verso l’alto e, in definitiva, impedendo alla radiazione solare di giungere al suolo che si scalda di meno. Il risultato è che la differenza di temperatura tra oceano Indiano e continente asiatico diminuisce e, allo stesso tempo, si riduce anche l’intensità della circolazione monsonica, favorendo, così, le condizioni di sviluppo dei cicloni tropicali sul Mar Arabico.

Per dimostrare questo processo, e, quindi, che l’inquinamento atmosferico è il vero responsabile che porta all’intensificazione dei cicloni tropicali, gli autori della ricerca hanno messo in correlazione le caratteristiche e l’intensificazione dell’inquinamento atmosferico sul sud dell’Asia, con l’intensificazione dei cicloni sul Mar Arabico e, avendo trovato positiva questa correlazione, concludono il loro lavoro raccomandando di ridurre le emissioni di polveri carboniose ed altri inquinanti atmosferici legati alla combustione dei combustibili fossili per ottenere rapidi miglioramenti della qualità dell’aria e per ridurre l’intensità dei cicloni tropicali sul mar Arabico, ripristinando anche le condizioni di circolazione atmosferica iniziali.

«Bisogna prendere questi risultati con molta cautela – ha osservato Paolo Ruti, climatologo dell’Enea -. Probabilmente c’è anche il contributo dell’inquinamento atmosferico all’intensificazione dei cicloni tropicali sul Mar Arabico, ma non bisogna dimenticare che in questi ultimi decenni il riscaldamento delle acque dell’oceano Indiano e dell’oceano Pacifico occidentale è stato particolarmente intenso anche in conseguenza del riscaldamento climatico globale».

«Questo significa – ha concluso Paolo Ruti – che l’energia immagazzinata negli oceani non è certamente una componente secondaria nei processi di intensificazione dei cicloni tropicali».

(Fonte Enea-Eai)