Perché crescono i comitati del «No»

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No Tav, no Triv, no Sfascia-Italia!… dietro c’è il risveglio della gente vera a difesa della propria terra ma anche un modo diverso di intendere lo sviluppo della società. La nota del Comitato parchi

La polemica sulla protesta No Tav è fuorviante se misurata sul sì o sul no al progetto. La sua realizzazione potrà anche andare avanti ma il problema non sarà risolto perché si tratta di due modi diversi di vedere la società e il suo modello di sviluppo.

Anni fa, quando si iniziò a parlare del problema dei rifiuti e del consumismo galoppante, lo slogan era che bisognava cambiare gli stili di vita. Oggi, quelle persone ci sono, sono diventate un popolo, hanno cultura e studi alle spalle, hanno modelli sociali in altri Stati sul Pianeta ed oggi chiedono di cambiare il nostro modello di sviluppo.

È sintomatico che pochi giorni fa, un padre dell’informatica, Bill Gates, abbia indicato nell’agricoltura la svolta per il futuro. Sono anche un segno importante gli insegnamenti di Fukuoka e Vandana Shiva, che si stanno incarnando a macchia d’olio fra i giovani, colti e laureati e non semplicemente disoccupati. Le aziende che si basano su altre logiche di mercato come la qualità e non la quantità, il km zero e non la grande distribuzione, sono un segnale importante.

Certo chi è abituato a fare i conti in percentuale, dirà che questi numeri non sono significativi. Sono gli stessi che anni fa dicevano che le fonti alternative non sarebbero state mai competitive rispetto a quelle tradizionali. Oggi sappiamo che non è così.

E allora che fare? Braccio di ferro o discutiamo? In una lettera aperta ai «Comandanti della nave Italia», il Comitato parchi scrive: «Ci piacciono la competenza e la sobrietà, l’onestà e l’efficienza, ma non siamo adoratori di Pil e spread, né di petrolio e banche, e neppure di poteri occulti e accordi sotterranei. Il debitofinanziario è importante e va risanato, ma adesso rischia di annebbiare le menti: guardando verso il futuro, non ci sarà magari da colmare anche un certo debito ecologico? Pensiamo davvero di poter consumare tutto e subito, lasciando in eredità ai nostri figli un territorio spremuto e devastato? Che senso ha far quadrare i conti o rispettare le procedure, se il prezzo da pagare è violentare la natura e distruggere l’ambiente? Forse nessuno si accorge che stiamo a poco a poco disintegrando il “bel Paese”, contaminandone storia e cultura, inaridendo le sorgenti della vita?».

Il punto è questo: bisogna scegliere la strada, e sceglierla ora, perché il danno che stiamo facendo al pianeta è incalcolabile e sta già ritorcendosi contro di noi. Rischiamo di finire annientati e, a quel punto, i conti in ordine non serviranno, perché il prezzo pagato sarà la nostra distruzione. Non solo, ma si rischia di rincorrere un conto che si allargherà sempre più fatto di dissesti idrogeologici, spese assicurative per fenomeni estremi sempre più distruttivi, cambiamenti climatici che porteranno nuove malattie e fame.

E la lunga e tenace rivolta No-Tav, anche se quotidianamente dominante nei media, non è l’unico episodio di contrasto con grandi opere e pesanti interventi indesiderati, ma in realtà rappresenta uno dei tanti sintomi di malessere di questo Paese. «Presto – si legge in una nota del Comitato parchi – esploderanno anche le ribellioni No-Triv, contro le insensate trivellazioni petrolifere, a cominciare dal malcontento che già cova nel Vallo di Diano, nella parte interna del Parco nazionale del Cilento. Appena poche settimane fa, le prospezioni sono state miracolosamente bloccate presso Pantelleria, nel canale di Sicilia (ma che bella idea, andare a perforare anche i fondali vulcanici sottomarini!), ma la minaccia incombe ancora sulla Costa Teatina in Abruzzo, e su gran parte dell’Adriatico. Per capire quali sono i pericoli, anche senza spingersi fino al Golfo del Messico, basterebbe andare nella Val D’Agri, in Basilicata… Ma davvero qualcuno è convinto che in futuro il Bel Paese debba diventare una landa di pozzi di petrolio (per estrarne oltretutto scarse quantità) simile al Texas o all’Arabia Saudita?

«Secondo alcuni analisti – continua la nota – si conterebbero oggi in Italia centinaia di opere e impianti già in funzione, oppure in fase di progetto o avviamento, dalle discariche alle tangenziali, dai poligoni di tiro alle energie rinnovabili, sempre più fortemente contestate dalle popolazioni locali. Alle quali si tenta allora di appioppare l’etichetta di essere refrattarie al progresso, sorde all’interesse collettivo, egoiste e retrograde.

«Ma non occorre approfondire molto per capire che, invece, è proprio il contrario. La gente locale può a volte sbagliare, magari perché male informata o subdolamente fuorviata: ma il vero egoismo sta proprio dall’altra parte, dove alligna non di rado la malapianta della corsa alla rapina e al massimo profitto, per interessi spesso inconfessabili».

Ma è possibile dirimere conflitti del genere? Per capire meglio come stanno le cose la nota del Comitato parchi si pone alcuni quesiti fondamentali:

«1.- Sarebbe possibile evitare lo scontro, trovando soluzioni alternative? (In molti casi soluzioni migliori esistono, e possono avvantaggiare tutti)

«2.- A parte le visioni contrastanti, quali sono i danni effettivi al territorio? (Il vero danno da evitare è quello irreversibile alla natura e al paesaggio)

«3.- Dietro agli alti e nobili proclami, quali effettivi interessi covano? (Promozione e visibilità, appalti, tangenti a vantaggio dei soliti noti).

«Ma è proprio quando si affronta questo terzo punto, e si solleva il velo delle segrete manovre di potere, che lo scontro può diventare più duro.

«A rifiutare l’ulteriore massacro della Val di Susa – conclude la nota – non sono soltanto gli abitanti (né, come si vorrebbe far credere, frange di anarchici e violenti che pure tentano sempre di infiltrarsi), e a protestare contro le trivellazioni a gruviera per terra e per mare non si schierano solo poche persone nemiche del progresso: ma è quell’Italia profonda e autentica, che oggi sembra risollevarsi dopo un lungo sonno. È il risveglio della gente vera, attaccata alla propria storia, alla propria identità e alla propria terra». (R.V.G.)