La pratica del «quanto basta» come rimedio alla crisi economica

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Serve un nuovo modello economico e sociale che elimini gli sprechi e che si fondi su un’«economia ecologica», in grado di affrancarsi dalle contraddizioni della logica della crescita, che sono alla base dell’attuale crisi economica e ambientale

Le risorse della terra sono abbastanza per tutti. Il problema sta nella loro distribuzione. È la crisi attuale, di natura ambientale ed etica oltre che economica, a indicarci, secondo il prof. Andrea Segrè, la via della «società della sufficienza», in cui vige la regola del «quanto basta» per tutti. Questo è il modello a cui guarda l’ultimo testo del preside della Facoltà di Agraria di Bologna e presidente di Last minute market, presentato oggi dal presidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori a Roma al Café de Paris.
«Basta il giusto (quando e quanto)», pubblicato da Altraeconomia edizioni (120 pagine, 7 euro), è un piccolo manifesto per costruire un nuovo modello economico e sociale che elimini gli sprechi e che si fondi su un’«economia ecologica», in grado di affrancarsi dalle contraddizioni della logica della crescita, che sono alla base dell’attuale crisi economica e ambientale. Segrè affida a una lettera a un ipotetico studente le sue riflessioni, in cui guarda all’economia dal basso, a partire proprio dall’agricoltura e dalla produzione alimentare, leve fondamentali del nostro sistema produttivo.

«La pratica del “quanto basta”, allargata all’intera umanità, può costituire una chiave per la grande sfida planetaria della sicurezza alimentare, in cui il settore primario ricopre un ruolo centrale – ha affermato il presidente della Cia Giuseppe Politi in apertura della presentazione del libro -. Dietro le cifre ancora oggi impressionanti della malnutrizione globale si nasconde una grande ingiustizia sociale. Ed è proprio la “mission” degli agricoltori, cioè quella di produrre risorse e nutrimento, ad assumere in questo contesto un significato strategico, sia economico che etico. È proprio per questo che non mi stanco di ripetere lo slogan che la Cia ha fatto proprio da anni: serve più agricoltura per sfamare il mondo».
In un Pianeta in cui, spiega la Cia, si produce tanto cibo da assicurare ad ognuno di noi la disponibilità di 2.800 kcal, quindi abbastanza per tutti, la malnutrizione continua a colpire quasi un miliardo di persone. Una contraddizione insostenibile, che si spiega anche con le cifre spropositate degli sprechi alimentari, che oltretutto hanno un costo economico altissimo, se si somma la mancata vendita allo smaltimento. Nel 2010 in Italia gli sprechi di prodotti alimentari dal campo alla tavola sono costati 11,2 miliardi di euro: una cifra pari allo 0,72 per cento del Pil.
«Abbiamo perso il valore del cibo – ha detto il professor Segrè nell’incontro di oggi -. Ognuno di noi produce ben 550 kg di rifiuti solidi urbani, di cui un 20 per cento è imballaggio e un altro 30 per cento è perfettamente consumabile. Dobbiamo fare della crisi economica un’occasione di riflessione sul nostro paradigma economico ed etico, che considera lo spreco un rifiuto, mentre molto spesso è ancora utilizzabile e va usato o riciclato».
Oltre al professor Segrè e al presidente Politi, sono intervenuti nell’incontro, costruendo un dibattito attento e profondo sui limiti e le contraddizioni del nostro sistema economico, il prof. Adolfo Pepe, direttore della Fondazione Di Vittorio, il prof. Silverio Ianniello, docente dell’Università di Trieste, il dottor Antonio Gaudioso, vicepresidente di Cittadinanzattiva.

(Fonte Cia)