Alla Convenzione di Washington controlla… chi mangia squalo

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Nonostante molte specie di animali siano in via di estinzione, esse continuano ad essere cacciate o pescate grazie ai permessi rilasciati dagli uffici della Convenzione. Alcuni casi sintomatici

Nonostante molte specie di animali siano in via di estinzione, esse continuano ad essere cacciate o pescate grazie ai permessi rilasciati dagli uffici della Convenzione di Washington. La Convenzione internazionale alla quale anche l’Italia ha aderito, avrebbe il compito di tutelare le specie minacciate regolamentando o, nei casi più gravi, vietando il commercio. Cosa questa che non sempre avviene. Nel corso dei meeting periodici, i delegati degli Stati membri si scatenano, accordandosi dove possono oppure cercando di vietare agli altri e poco a se stessi. Vedi, ad esempio, l’Italia con il corallo ed il tonno rosso.

La Convenzione dovrebbe avere uffici super partes dove, chi proviene da una determinata area geografica, non potrebbe mettere becco su questioni protezioniste ad essa ricollegabili. In realtà non vi sono regole neanche sulla eventuale conclamata possibilità di conflitto di interessi. Anzi, recentemente, il Comitato Permanente della Convenzione di Washington ha deciso di non dotarsi di specifica regolamentazione. A rilevarlo è Frank Pope autore, ieri, di un articolo sul «The Times» e, il giorno prima, sul suo blog. Cosa ha scoperto Pope? Che il Signor Giam Choo-Hoo, componente dell’Ufficio della Convenzione preposto alla consulenza scientifica (ovvero molto determinante sulle decisioni da adottare) potrebbe avere qualcosa da dire sulle pinne di squalo. La Cina è il principale importatore mondiale, anche se a pescarlo sono altre marinerie, tra le quali quelle europee.

Nel corso di una intervista, Pope ha rilevato come il Signor Giam ritiene la famosa zuppa un piatto di prim’ordine per le cene dove non sfigurare. Pope ha fatto poi intendere che lo stesso componente degli uffici della Convenzione di Washington, potrebbe avere ben altri interessi. Giam non ammette ma neanche smentisce alla domanda del giornalista sui presunti legami con la Marine Products Association ovvero la ex Shark Fin & Marine Products Association. Come suggerisce la vecchia denominazione, la specializzazione è proprio nella commercializzazione delle pinne di squalo. Il tutto, poi, alla luce della scarsissima attenzione riservata, nel corso degli ultimi meeting della Convenzione di Washington, proprio alla protezione degli squali. Buona parte delle specie stanno colando a picco ma per Giam, il vero problema è solo per lo squalo sega.

Già nel recente passato si sono avuti altri discutibili episodi, come nel caso della delegazione giapponese che invitò, nel corso del meeting di Dubai, i delegati degli altri Stati ad una cena a base di sushi di tonno. Il giorno dopo era prevista la votazione in assemblea, la quale si è poi espressa per la mancata protezione. C’è poi il problema delle quote di esportazione, ovvero quanti, tra gli animali da proteggere, si possono abbattere. Le quote si basano su censimenti a volte discutibili come quelli condotti in paesi dall’inflazione da miliardi di punti percentuale. È il caso dello Zimbabwe il quale, in controtendenza ai censimenti che danno in diminuzione le popolazioni di elefanti africani, continua ad essere autorizzato, grazie alla Convenzione di Washington, ad ucciderne fino a 1.000 l’anno. Non solo elefanti ma anche l’ormai rarissimo ghepardo. Cinquanta l’anno, per non parlare dei 500 leopardi. A ucciderli sono ricchi cacciatori occidentali come il magnate di GoDaddy.com e i rampolli di Trump, padrone del settore immobiliare e tra i più ricchi uomini al mondo.

(Fonte GeaPress)