Dalla dittatura del petrolio a quella delle Terre rare

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Per questo tutti vogliono dialogare con i talebani…

Il sottosuolo dell’Afghanistan è, infatti, ricchissimo delle Terre rare su cui si imperniano la transizione ecologica e quella digitale. E Pechino, che già ne controlla il mercato globale, sta già lisciando il pelo ai talebani per accedervi

Con gli attuali trend di trasformazione «green» basata sulla elettrificazione, la domanda di litio potrebbe moltiplicarsi per 40 entro il 2040, e quelle di cobalto e di nichel per 20.
L’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), che ha realizzato uno studio a riguardo, ha messo in evidenza come un’auto elettrica richieda sei volte di più di metalli rispetto ad un veicolo con motore termico, e un sito eolico terrestre ne richieda nove volte di più rispetto ad una grande centrale a gas con un rendimento equivalente.
Il problema, pertanto, sta nella concentrazione dei giacimenti di questi metalli in poche nazioni e soprattutto nelle mani di poche imprese, con il rischio di crisi di forniture.
Se il mondo vuole raggiungere i suoi obiettivi climatici i singoli Stati devono guardare con urgenza alla loro fornitura di minerali necessari per la transizione energetica.
Più che per il petrolio, infatti, la produzione è spesso concentrata in pochi paesi. Tutto, quindi, dipenderà dalla risposta della politica e delle imprese. Al riguardo va evidenziato che negli ultimi anni la Repubblica Democratica del Congo e la Cina hanno prodotto rispettivamente il 70% e il 60% di cobalto e terre rare. Allo stesso tempo la raffinazione è dominata dalla Cina, sul suo territorio o altrove.
C’è da chiedersi: cosa succederà fra qualche anno? È probabile che i prezzi aumentino drasticamente, il che significa una transizione più costosa e quindi più lenta di quanto sarebbe necessario. Le cifre mostrano un divario imminente tra le crescenti ambizioni climatiche globali e la disponibilità di minerali critici essenziali per realizzare queste ambizioni.
Dovrebbe, pertanto, essere rafforzata la cooperazione internazionale tra produttori e utenti, così come è importante che si rispettino gli standard ambientali e sociali riguardanti il settore dell’estrazione. E soprattutto devono essere promossi il riciclaggio e il recupero dei minerali rari.
Ne consegue che, in un contesto come quello della transizione ecologica, unitamente a quella digitale, elementi come il litio e cobalto sono essenziali per le batterie moderne necessarie al processo di decarbonizzazione, altri servono per i pannelli solari e le pale eoliche, altri ancora sono impiegati nella costruzione dei semiconduttori, i «cervelli» elettronici necessari per la digitalizzazione.
Ebbene, quando i combattenti talebani sono entrati a Kabul il 15 agosto, non hanno semplicemente preso il controllo del governo afghano. Hanno anche acquisito la capacità di controllare l’accesso a enormi giacimenti di minerali che sono cruciali per l’economia globale dell’energia pulita.
Il sottosuolo dell’Afghanistan è, infatti, ricchissimo delle terre rare su cui si imperniano la transizione ecologica e quella digitale. E Pechino, che già ne controlla il mercato globale, sta già lisciando il pelo ai talebani per accedervi.
Con la conquista di Kabul i talebani afghani hanno miliardi di motivi per gioire. Virtualmente, la loro presa di potere li rende i proprietari di un’immensa riserva mineraria, quasi intonsa, presente nel sottosuolo dell’Afghanistan. Nel 2020 il valore stimato oscillava tra mille e tremila miliardi di dollari, ma in un mondo agli albori della transizione ecologica (dove certi minerali e terre rare sono cruciali per lo sviluppo in chiave verde) quelle risorse sono molto, molto più importanti del loro valore monetario in termini di impatto sugli equilibri geopolitici globali.
A poche ore dalla presa di Kabul la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying il 16 agosto 2021 in una conferenza stampa, ha affermato che Pechino era pronta a «cooperare amichevolmente».
«Sulla base del pieno rispetto della sovranità dell’Afghanistan e della volontà di tutte le fazioni del paese, la Cina ha mantenuto contatti e comunicazioni con i talebani afgani e ha svolto un ruolo costruttivo nel promuovere la soluzione politica della questione afghana», ha aggiunto.
Nel contempo ha affermato che i talebani avrebbero detto «in più occasioni» di «aspettare con trepidazione la partecipazione della Cina alla ricostruzione e allo sviluppo dell’Afghanistan».
«Ci auguriamo — ha aggiunto — che i talebani afghani possano formare solidarietà con tutte le fazioni e gruppi etnici in Afghanistan e costruire una struttura politica ampia e inclusiva adatta alle realtà nazionali, in modo da gettare le basi per raggiungere una pace duratura nel paese.
«I talebani afghani hanno affermato in più occasioni che sperano di instaurare solide relazioni con la Cina, attendono con impazienza la partecipazione della Cina alla ricostruzione e allo sviluppo dell’Afghanistan e non consentiranno mai a nessuna forza di utilizzare il territorio afghano per compiere atti dannosi per la Cina. Accogliamo con favore quelle dichiarazioni. La Cina ha sempre rispettato la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Afghanistan, ha aderito alla non ingerenza negli affari interni dell’Afghanistan e ha perseguito una politica amichevole nei confronti dell’intero popolo afghano. La Cina rispetta il diritto del popolo afghano di decidere autonomamente del proprio futuro. Siamo pronti a continuare a sviluppare il buon vicinato e la cooperazione amichevole con l’Afghanistan e a svolgere un ruolo costruttivo nella pace e nella ricostruzione dell’Afghanistan».
Va da sé che Pechino tragga vantaggio dal sostenere, come la mettono loro, la «sovranità» e la «volontà» locali (elementi che rinfaccia all’Occidente quando arrivano critiche sull’asservitività cinese in Hong Kong, Taiwan e Tibet).
È altrettanto chiaro che, data la posizione strategica dell’Afghanistan come crocevia dell’Asia, la Cina sia interessata a mantenere buone relazioni (ed estendervi la Nuova Via della Seta).
Ma quando si considera che il Dragone controlla la stragrande maggioranza dell’estrazione di terre rare a livello globale, ecco che inizia a emergere un quadro di più ampio respiro, un progetto di influenza economica (e dunque geopolitica) pensato per i prossimi decenni.

 

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia

 

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