Il tonno in scatola non sempre è sostenibile

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Dei 14 marchi valutati, 11 finiscono «in rosso» perché non hanno precisi criteri per garantire che la pesca del proprio tonno non danneggi l’ambiente

«Il tonno italiano è insostenibile dalla pesca alla scatoletta. Anche a causa sua il nostro mare si sta svuotando».
Greenpeace lancia oggi la classifica «Rompiscatole» sulla sostenibilità del settore del tonno in scatola in Italia. Dei 14 marchi valutati, 11 finiscono «in rosso» perché non hanno precisi criteri per garantire che la pesca del proprio tonno non danneggi l’ambiente.
In cima alla classifica ci sono Coop, ASdoMar e Mare Blu che, sebbene non siano effettivamente sostenibili, hanno almeno una regolamentazione scritta. Tuttavia anche queste aziende dovranno raccogliere la sfida di applicare alla realtà quanto promesso sulla carta.

Il tonno in scatola è la conserva ittica più venduta in Italia e nel mondo, ma ben pochi consumatori sanno cosa c’è davvero nelle scatolette. Per pescare il tonno si utilizzano spesso metodi distruttivi come i palamiti e le reti a circuizione con sistemi di aggregazione per pesci (o Fad), che sono responsabili della cattura accidentale di un’ampia varietà di altre specie, tra cui tartarughe e squali, e di esemplari immaturi di tonno. Il pinna gialla, il più consumato in Italia, è sotto pressione e la salvaguardia di alcuni stock desta ormai serie preoccupazioni.

«In Italia si consumano più di 140mila tonnellate di tonno in scatola all’anno – spiega Giorgia Monti responsabile della campagna Mare di Greenpeace – ma non esiste sul mercato un marchio realmente sostenibile. È ora che distributori e produttori si assumano la responsabilità degli impatti ambientali causati dalla pesca del tonno che ci vendono e che prendano impegni precisi per evitarli».

Cambiare è possibile. Quando i consumatori hanno sollevato il problema delle catture dei delfini, l’industria ha risposto positivamente e ora quasi tutto il tonno in scatola venduto in Italia è «dolphin safe», ma purtroppo non basta.

Per raccogliere informazioni sulla sostenibilità delle scatolette, Greenpeace ha inviato un questionario alle aziende e sulla base delle risposte pervenute ha elaborato la valutazione. Zero in classifica per due dei marchi più venduti in Italia (Tonno MareAperto Star e Consorcio) per la loro assoluta mancanza di trasparenza. Un punteggio di 0,7 a Nostromo che fornisce ben poche informazioni sulla provenienza del tonno utilizzato.

Riomare guadagna qualche punto in più, perché dimostra di avere informazioni precise sull’origine dei propri prodotti, ma si trova comunque in basso, non avendo adottato precisi criteri di sostenibilità nella scelta del tonno utilizzato. Il punteggio più alto va a Coop, ASdoMar e Mare Blu, le uniche che hanno adottato una politica scritta per l’approvvigionamento sostenibile. ASdoMar, inoltre, è uno dei pochi che, in metà dei propri prodotti, utilizza il tonnetto striato (specie considerata in buono stato) pescato con metodi sostenibili (lenza e amo).

«Le decisioni dei produttori di tonno in scatola e della grande distribuzione organizzata possono davvero trasformare il mercato. La soluzione esiste, e prima che anche gli stock di tonno tropicale vengano totalmente compromessi, come è successo per il tonno rosso del Mediterraneo, bisogna eliminare gli attrezzi pericolosi, ridurre lo sforzo di pesca e tutelare con riserve marine le aree più importanti per queste specie», conclude Giorgia Monti.

Il rapporto «Tonno in trappola»

La classifica

(Fonte Greenpeace)

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