(Adnkronos) – Il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo provvisorio in trilogo su una proposta di revisione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane. L’accordo, parte integrante del piano d’azione “Inquinamento zero” dell’UE, mira a migliorare l’efficacia delle norme esistenti, allineandole agli obiettivi del Green Deal europeo e affrontando questioni in sospeso legate all’inquinamento idrico. Le principali disposizioni includono l’applicazione obbligatoria del trattamento secondario per agglomerati di mille abitanti equivalenti (ae) entro il 2035, seguito dal trattamento terziario e quaternario per impianti di maggiori dimensioni entro il 2039 e il 2045. L’accordo introduce anche misure per il riutilizzo delle acque reflue trattate, rafforza il monitoraggio di parametri di sanità pubblica e inquinanti chimici, e impone responsabilità estesa del produttore per i costi di trattamento quaternario. L’obiettivo di neutralità energetica prevede un aumento graduale dell’uso di energia rinnovabile nei trattamenti, raggiungendo il 100% entro il 2045. L’ampliamento dell’ambito di applicazione della direttiva è una risposta mirata al problema dell’inquinamento proveniente dai piccoli agglomerati. I colegislatori hanno deciso di ridurre il limite da 2.000 a.e. a 1.000 a.e., includendo così un numero più ampio di comunità nelle disposizioni della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane. Il concetto di “abitante equivalente” è cruciale per questa direttiva. Esso rappresenta un parametro utilizzato per quantificare il carico inquinante potenziale delle acque reflue causato da una persona in un giorno. In pratica, fornisce una misura standardizzata del contributo inquinante di una popolazione. La richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) di 60 g di ossigeno al giorno per abitante equivalente rappresenta il carico organico biodegradabile giornaliero che viene utilizzato come riferimento per valutare la qualità delle acque reflue. La decisione di includere agglomerati più piccoli nella direttiva riflette la consapevolezza dell’importanza di affrontare l’inquinamento a livello locale. Ampliando l’ambito di applicazione, si mira a migliorare il trattamento delle acque reflue anche in comunità di dimensioni più ridotte, contribuendo così a una gestione più efficace delle risorse idriche e alla riduzione complessiva dell’inquinamento. Gli Stati membri saranno obbligati a realizzare reti fognarie per le acque reflue urbane in agglomerati con 1.000 ae o più entro il 2035. I piani di gestione delle acque reflue dovranno essere elaborati per agglomerati con oltre 100.000 ae entro il 2033 e per quelli a rischio (10.000-100.000 ae) entro il 2039. La decisione dei colegislatori di estendere l’obbligo di realizzare reti fognarie per le acque reflue urbane a tutti gli agglomerati con 1.000 abitanti equivalenti o più è un passo significativo verso una gestione più completa ed efficiente delle acque reflue: una mossa che mira a migliorare la raccolta e il trattamento delle acque reflue in una vasta gamma di comunità, contribuendo così alla riduzione complessiva dell’inquinamento idrico. Il posticipo del termine di conformità, spostandolo dal 2030 al 2035, riflette, invece, una consapevolezza della necessità di concedere un periodo di transizione sufficiente agli enti locali per adeguarsi ai nuovi requisiti. Il Consiglio e il Parlamento hanno esteso l’obbligo di sottoporre le acque reflue urbane a un trattamento secondario (ossia la rimozione della materia organica biodegradabile) prima dello scarico nell’ambiente a tutti gli agglomerati con 1 000 a.e. o più entro il 2035. I colegislatori hanno inoltre allineato le soglie e i termini per il trattamento terziario (ossia l’eliminazione dell’azoto e del fosforo) e il trattamento quaternario (ossia l’eliminazione di un ampio spettro di microinquinanti). Entro il 2039 e il 2045, rispettivamente, gli Stati membri dovranno garantire l’applicazione del trattamento terziario e quaternario negli impianti di maggiori dimensioni che trattano un carico di 150 000 a.e. o più, con traguardi intermedi nel 2033 e nel 2036 per il trattamento terziario e nel 2033 e 2039 per il trattamento quaternario. I produttori di prodotti farmaceutici e cosmetici dovranno contribuire in modo sostanziale ai costi aggiuntivi derivanti dal trattamento quaternario delle acque reflue urbane, seguendo il principio “chi inquina paga”. La decisione di far contribuire i produttori almeno all’80% dei costi del trattamento supplementare attraverso la responsabilità estesa del produttore è un chiaro segnale della volontà di coinvolgere attivamente l’industria nel finanziamento delle soluzioni alle problematiche ambientali da essa create. Lasciare agli Stati membri un margine di flessibilità per la ripartizione dei costi rimanenti riconosce la necessità di adattarsi alle diverse situazioni locali e alle condizioni economiche specifiche di ciascun paese. Gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane dovranno aumentare progressivamente l’uso di energia rinnovabile: La transizione verso l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nel trattamento delle acque reflue non solo ridurrà l’impatto ambientale ma contribuirà anche all’obiettivo più ampio di neutralità climatica dell’UE. L’accordo provvisorio sarà ora sottoposto all’approvazione dei rappresentanti degli Stati membri e della commissione per l’ambiente del Parlamento. Se approvato, il testo dovrà essere formalmente adottato prima di entrare in vigore. —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Acque reflue urbane, le nuove norme europee su trattamento e monitoraggio
Il patto di stabilità ostacola la transizione verde, il rapporto dei Verdi
(Adnkronos) – Il patto di stabilità europeo è stato identificato come un ostacolo significativo alla realizzazione del Green Deal, secondo un rapporto presentato al Parlamento Europeo dai Verdi/Ale e realizzato dall’Istituto Rousseau. Il documento sostiene che, oltre alle politiche incoerenti nei confronti dei combustibili fossili, le attuali regole economiche europee in materia di bilanci hanno limitato la capacità degli Stati membri di effettuare gli investimenti necessari per attuare politiche cruciali per la transizione verde. Il rapporto, intitolato “Road to Net Zero: Bridging the Green Investment Gap,” stima che entro il 2050 saranno necessari ulteriori 10 trilioni di euro di investimenti nell’Unione Europea, con una media annua di circa il 2,3% del PIL attuale. I Verdi notano che questa cifra è la metà di quanto l’UE ha speso per le importazioni di combustibili fossili nel 2022. Gli ecologisti sostengono che tre quarti di questi fondi potrebbero essere garantiti riallocando la spesa corrente considerata superflua o dannosa per la transizione verde. Philippe Lamberts, eurodeputato e co-presidente del gruppo dei Verdi/Ale, sottolinea che i governi europei devono ora dare priorità agli investimenti pubblici per affrontare la transizione verde. L’eurodeputato propone la creazione di un fondo comune di investimento simile al Recovery and Resilience Facility (Rrf) per raggiungere gli obiettivi climatici. Lamberts avverte che limitare la quantità di spesa che i Paesi possono effettuare attraverso la riforma delle regole fiscali dell’UE potrebbe indebolire la posizione dell’Unione Europea sulla scena mondiale, sottolineando l’importanza di certezze, regole chiare e spazio per investire nel settore privato e pubblico. Insomma, secondo Lamberts senza un adeguato spazio per gli investimenti verdi, l’UE rischia di rimanere indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina nel corso del secolo. —sostenibilitawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
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