State of the World – Trasformare la cultura del consumo

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Circa il 7% della popolazione mondiale è responsabile del 50% delle emissioni climalteranti, mentre 3 miliardi di persone, ovvero i poveri del mondo, sono responsabili, in termini di emissioni, solo per il 6%

Salvare la terra, avere comportamenti in contro-tendenza con quelli attuali, volti al consumismo, all’utilizzo sfrenato di energia e di combustibili fossili non dipende dal fatto di essere più o meno consapevoli del pericolo che stiamo correndo, ovvero di portare il nostro pianeta verso il collasso, bensì tutto questo dipende dal fattore «cultura».

Per noi, che viviamo in Occidente, è normale prendere l’automobile, o l’aereo, siamo consapevoli che questi mezzi inquinano, per un po’ possiamo non utilizzarli o ridurre il loro utilizzo, ma poi inesorabilmente ricominciamo. Questo comportamento ormai fa parte della nostra esistenza, e sta cominciando ad essere patrimonio anche dei paesi emergenti.

Per prevenire il collasso ambientale è necessario mutare la nostra cultura dominante, re-indirizzarla verso il valore della sostenibilità. Questo significa vivere facendo scelte che impattano il meno possibile sull’ambiente o ancora meglio operare ed attuare scelte in grado di migliorare l’attuale stato dell’ambiente.

La cultura della sostenibilità non si radica con facilità, è necessario lavorare duramente in direzione diverse: dall’istruzione, al sistema economico, dall’amministrazione ai mezzi di comunicazione senza trascurare i movimenti dei cittadini.

Ancora oggi assistiamo ad una crescita dei consumi, solo nel 2008, sono stati venduti nel mondo 68 milioni di veicoli, 85 milioni di frigoriferi, 297 milioni di pc, per non parlare dei telefoni cellulari, le cui vendite ammontano a più di un miliardo.

Questi alti livelli di consumo stanno mettendo in crisi, in modo drammatico, l’ecosistema da cui dipende l’uomo e moltissime specie viventi. Gli indicatori volti a misurare l’impronta ecologica, ovvero l’impatto delle attività umane sulla terra e sul mare, indicano che l’uomo sta utilizzando di più di quella che è la capacità della terra di rigenerarsi.

Il consumismo è particolarmente responsabile, avendo un’impronta pesante sulla terra, come dimostra uno studio dell’ecologista Stephen Pacala: circa il 7% della popolazione mondiale è responsabile del 50% delle emissioni climalteranti, mentre 3 miliardi di persone, ovvero i poveri del mondo, sono responsabili, in termini di emissioni, solo per il 6%.

Per capire cosa sia il consumismo, bisogna partire dalla cultura, che non è solo l’arte o i valori di una società, ma tanti aspetti insieme: stili di vita, tradizioni, norme, e tanto altro che influisce sul modo di guardare la realtà. Per dirla con le parole degli antropologi Robert Welsch e Luis Vivanco, la cultura è la somma di tutti «i processi sociali che rendono l’artificiale uguale al naturale».

Molto di ciò che oggi appare naturale costituisce per molte persone la «cultura», per esempio il cibo, tutti mangiano, ma cosa, come e quando è determinato dal fattore culturale. Gli europei non mangiano gli insetti, perché, nella loro cultura, sono intrinsecamente repulsivi, in altre culture sono parte integrante della cucina e sono considerati un eccellente cibo. Lo stesso avviene con il consumismo che non è più visto come una sovrastruttura, come qualcosa di creato dall’uomo, ma come naturale, normale.

Il paradigma culturale delle società occidentali, ma anche di quelle emergenti, è il consumismo. L’economista Paul Ekins descrive il consumismo come una cultura nella quale «il possesso e l’uso di un numero e di una varietà infinita di beni e servizi risulta l’aspirazione principale, questo comporta felicità, determina lo status sociale ed anche il successo nazionale».

Il consumismo fa sì che gli individui attribuiscano significato e valore, in primo luogo, al consumo di beni e servizi. Molti studi dimostrano però che consumare di più non necessariamente significa una migliore qualità della vita.

Che cosa si può fare?

È necessario modificare il paradigma culturale, ovvero nel caso del paradigma culturale del consumismo gli assunti di base si fondano sull’idea che possedere una quantità sempre maggiore di beni renda felici, che la crescita perpetua sia un fattore positivo e che il destino degli uomini e della natura sia separato.

Cambiare tutto questo non è facile anche perché ci sono molte resistenze, ci possono essere cambiamenti ma mutare il modello culturale è altra cosa. Il mutamento culturale non avviene in breve tempo, e va misurato non in termini di anni ma di decadi. Perché ciò avvenga, inoltre, è necessario creare i paradigmi culturali della sostenibilità.

In primo luogo deve divenire naturale considerare un valore e dare significato all’impegno profuso per salvare l’ambiente, questo in antitesi a valori quali il numero di beni posseduti o la grandezza della propria abitazione.

Al contempo bisogna sostituire l’uso privato, personale di certi beni e servizi con un uso pubblico degli stessi, ciò aiuterebbe a modificare certi paradigmi culturali su cui si fonda il consumismo. Supportare i parchi pubblici, le biblioteche, il sistema di trasporto collettivo, gli orti pubblici genera comportamenti alternativi più sostenibili, come prendere in prestito i libri, utilizzare l’autobus invece dell’automobile, coltivare ortaggi insieme e passare il tempo in un parco pubblico.

L’esempio più eclatante di tutto ciò è il trasporto. Riorganizzare la rete viaria in modo da valorizzare i percorsi pedonali ed il trasporto pubblico, comporta una drastica riduzione del trasporto privato, con un miglioramento della qualità dell’aria e minore numero di incidenti. La centralità dell’auto non è naturale ma un valore indotto, creato dall’uomo.

Un altro elemento è importante, ovvero che i beni che creiamo sono destinati ad avere una lunga vita, mentre dovrebbero essere completamente riciclabili alla fine del loro uso, e soprattutto dovrebbero essere «fashion» per almeno una decade. La maggior parte degli oggetti, invece, è fuori moda dopo solo un anno.

La buona notizia è che questo processo di trasformazione è già iniziato, ne è un esempio la buona abitudine di andare a scuola a piedi, o l’idea che sta permeando l’economia e che ritiene che anche nel business si debba tenere conto dei valori sociali, come la protezione dell’ambiente, la sicurezza dei lavoratori, la soddisfazione dei clienti e degli altri portatori di interessi coinvolti. Anche i governi, e più in generale le amministrazioni pubbliche, cominciano a sostenere le buone pratiche per l’ambiente Altrettanto stanno facendo importanti settori della cultura, film, arte, musica ed altre forme espressive e di comunicazione si mostrano sensibili al valore della sostenibilità. Lo stesso avviene nel marketing e nei movimenti dei cittadini.

Tutto questo insieme avrà il potere di re-indirizzare i valori e radicare la sostenibilità come nuovo paradigma culturale in ciascuno di noi.

(Fonte Arpat, Testo a cura di Stefania Calleri)