Natura senza di noi

Tempo di lettura: < 1 minuto

Ci sono molte specie che vorremmo far estinguere. Contro di esse usiamo mezzi terribili, di solito chimici. Scarafaggi, topi, insetti nocivi, parassiti sono oggetto di tentativi di solito infruttuosi di «soluzioni finali». Dopo effimere vittorie, che vedono una riduzione temporanea dei nostri nemici, questi ritornano più forti di prima, costringendoci ad aumentare le dosi dei veleni ad essi destinati. Aumentando le dosi alteriamo l’ambiente e, alla fine, inquiniamo le falde acquifere, il suolo, l’aria. Loro, i nostri «nemici», si adattano mentre noi finiamo per avvelenarci da soli.

È oramai inconfutabile che le prime vittime della nostra brama di controllo e supremazia sulla natura siamo proprio noi. D’altronde, la nostra specie ha fatto la sua comparsa, evolvendo da un antenato ominide, solo pochi milioni di anni fa. La vita è presente da quattro miliardi di anni. Per gran parte della sua storia ha fatto a meno di noi, cavandosela egregiamente. Se scompariremo non sarà un grosso problema. Se altereremo troppo gli ambienti, ci saranno molti organismi con le risorse genetiche per affrontare le novità. Come già fanno gli organismi che vogliamo sterminare. Saremo noi a non riuscire a stare al passo con i cambiamenti da noi stessi generati. Il nostro comportamento dissennato metterà in pericolo la nostra specie. Sto usando il futuro, ma il futuro è già adesso.

Servizi ed infrastrutture

Tempo di lettura: < 1 minuto

Il Parco del Ticino, per scelta, attualmente non ha sviluppato uno specifico Piano di settore dedicato al Turismo. Esso, pur all’interno di proprie linee guida strategiche, ha scelto la strada, molto flessibile, delle convenzioni. Infatti l’Ente, in accordo con diverse associazioni e società che operano sul territorio, offre agli utenti la possibilità di effettuare visite guidate a piedi, in bicicletta, in canoa ed in carrozza. Telefonando al Servizio di Educazione Ambientale del Parco sarà possibile reperire gli ulteriori nominativi delle società convenzionate e le informazioni necessarie.
Sono oltre 25 le tipologie di infrastrutture che possono entrare a vari livelli e in diversi momenti nella «filiera» del turismo nel Parco.
Da segnalare lo sforzo dell’Ente Parco fatto negli ultimi anni per incrementare il numero dei Centri Visita ed il costante aumento degli agriturismo, soprattutto di quelli in grado di fornire servizi di ristorazione.

Protezione della natura

Tempo di lettura: 2 minuti

La Commissione ha deciso di adottare ulteriori provvedimenti (quattro) nei confronti dell’Italia per problemi riguardanti la tutela dell’ambiente naturale.
È stata adita la Corte di giustizia delle Comunità europee perché le autorità italiane non hanno valutato adeguatamente i danni che lo sviluppo di una zona industriale presso Manfredonia (Foggia) avrebbe potuto avere sul sito naturale «Valloni e steppe pedegarganiche». Gli impianti costruiti nella zona industriale hanno deteriorato gli habitat e disturbato le specie che popolano questo sito protetto. In particolare, sono stati distrutti habitat steppici, mentre molte specie di uccelli sono state disturbate.
L’Italia non ha effettuato una valutazione adeguata dell’impatto del progetto sul sito protetto e non è intervenuta per evitarne gli effetti negativi. In questo senso ha violato la direttiva UE sugli uccelli selvatici.
Sono stati inviati inoltre tre pareri motivati (seconda e ultima fase del procedimento).
Nel primo caso, l’Italia è sotto accusa per aver autorizzato l’estrazione di acqua dal Lago Trasimeno, in Umbria, a scopi irrigui. Il lago si trova in una zona di protezione speciale classificata a norma della direttiva sugli uccelli selvatici. Le autorità italiane hanno adottato un piano per risanare e proteggere l’ecosistema del lago e degli argini, che prevede misure per affrontare il problema della perdita d’acqua e ridurre la velocità alla quale il livello idrometrico sta calando. Le autorità italiane non rispettano però tale piano e continuano ad autorizzare l’estrazione di acqua, con conseguenze negative per le popolazioni ittiche, la flora, la microflora, gli uccelli e i loro habitat, senza contare l’impatto sull’ecosistema lacustre.
La seconda causa riguarda le varianti ad un progetto previsto riguardante circa 100 insediamenti industriali, la maggior parte dei quali si trova all’interno delle zone di protezione speciale «Murgia Alta». Il comune di Altamura (Puglia) ha autorizzato le varianti al progetto senza provvedere alla valutazione istituita dalla direttiva Habitat dell’UE. La valutazione avrebbe dovuto garantire che il progetto non incidesse negativamente sull’integrità del sito interessato.
Nel terzo caso il parere motivato è dovuto al fatto che l’Italia ha autorizzato regolarmente l’organizzazione di rally motoristici nella Provincia di Pordenone («Baia del Cellina») nell’ambito del sito Magredi del Cellina, una zona protetta dalla direttiva Habitat dell’UE, e nei Magredi di Pordenone, una zona che avrebbe dovuto essere designata come zona di protezione speciale. Tutte queste aree ospitano habitat molto rari e protetti che vengono deteriorati dai rally; queste manifestazioni rappresentano inoltre un elemento di disturbo per le specie avicole che li popolano.

Hanno detto

Tempo di lettura: 9 minuti

L’opportunità dei cambiamenti climatici

I cambiamenti climatici, oltre ad essere un rischio, possono diventare «un’opportunità da cogliere con rapidità», specialmente per quanto riguarda l’adattamento, «che non significa arrendersi, come lascerebbe intendere il termine inglese, e tanto meno limitarsi a minimizzare gli effetti». Lo ha detto, aprendo stamattina i lavori della Conferenza Nazionale sui Cambiamenti climatici alla Fao di Roma il Commissario Straordinario dell’Apat, Giancarlo Viglione. Nonostante si veda già qualche segnale positivo, ha continuato il Commissario, la Prima Conferenza nazionale sul clima, dovrà servire «per colmare il gap esistente tra l’Italia e altri Paesi, per quanto riguarda le politiche ambientali, creando gli elementi guida per una strategia di adattamento». Altrettanto importante è anche la «nascita di una consapevolezza nuova nei giovani», che l’Apat cerca di favorire attraverso una Conferenza Junior che, ha concluso Viglione, «ospiterà domani sempre alla Fao 100 giovani delle scuole superiori italiane, che con giochi di simulazione si renderanno conto dell’impatto del cambio di clima».

Ancora molti soffrono la fame

Il vice Direttore della Fao, David Harcharik, ha ricordato i molti accordi sull’ambiente già stipulati con il governo italiano, confermando «la disponibilità della Fao a qualsiasi tipo di collaborazione per contrastare l’impatto dei cambiamenti climatici. Il Vicepresidente ha ricordato gli 852 milioni di persone nel mondo che soffrono la fame, puntualizzando che ben 815 milioni di essi vivono nei Paesi in via di sviluppo, una cifra che aumenta anche a causa dei cambiamenti climatici, che portano i Paesi in via di sviluppo a doversi adeguare a condizioni di vita ancora più severe.

Non è l’impazzimento della Natura

«Il cambiamento climatico non è una sorta di ?impazzimento della natura?. La causa è ?nella politica di rapina e di dominio della natura che un lungo ciclo economico ha perpetuato». Lo ha detto il Presidente della Camera Fausto Bertinotti portando il suo saluto alla Conferenza Nazionale sui Cambiamenti Climatici, un «saluto interessato» nel senso che «obbligatoriamente il tema deve interessare le istituzioni, la politica e ognuno di noi come cittadino».
La definizione che tutti noi usiamo di cambiamento del clima, ha spiegato nel suo intervento alla Fao, in realtà sembra essere del tutto inadeguata, poiché «sembra di parlare di un fenomeno oggettivo o almeno storicamente determinato ? ha detto Bertinotti ? ma non dà idea della gravità del fenomeno e dei rischi che comporta. Sono stati ricordati, in questa sede, fame, malattia, povertà, devastazione, rischi di catastrofe che sono connessi a questo appuntamento ? ha proseguito Bertinotti . La politica e le istituzioni sono chiamate ad una sfida difficile perché si tratta di un cambiamento profondo. Se il cambiamento climatico non è una sorta di ?impazzimento della natura?, se esiste un elemento causale di questo fenomeno, questo è proprio nella politica di rapina e di dominio della natura che un lungo ciclo economico ha perpetrato. Oggi la sfida della politica è di cambiare il corso delle cose, una sfida difficile perché dobbiamo affrontare delle arretratezze culturali, che incontrano anche resistenze di interessi di chi


non ha alcuna propensione al cambiamento. In questa Italia, e in questo Mediterraneo – ha concluso il presidente della Camera – ci sono le risorse anche di civiltà per poter intraprendere il cambiamento».

Salute e biodiversità

Roberto Caracciolo, direttore di Dipartimento dell’Apat.
Un aspetto che richiede estrema attenzione è quello riguardante gli effetti sulla salute umana dei cambiamenti climatici in corso: «Per ogni grado di temperatura in più, si stima, esiste un’aspettativa di aumento del 3% di mortalità».
Quali gli scenari futuri ci aspettano, pertanto? «Una diminuzione dal 30 al 70% dei ghiacciai entro il 2100, meno precipitazioni nevose, sempre più frequenti eventi siccitosi che, pertanto, passerebbero da 1 ogni 100 a 1 ogni 50 anni. Entro il 2070, la portata dei corsi d’acqua potrebbe diminuire di oltre l’80%».
Non poche le conseguenze anche sulle biodiversità, la cui conservazione risulta essere sempre più indispensabile. «Nell’ultimo secolo ? ha spiegato Caracciolo – le specie vegetali si sono spostate verso quote più elevate ed è aumentata la durata di crescita delle colture. Entro il 2080, si stima una perdita delle specie vegetali montane del 62%, una diminuzione del 20% delle aree umide costiere, un calo della produttività agricola europea e, in particolare, di legumi, girasoli e tuberi».

Le soluzioni ci sono vanno applicate

«La sfida sollevata dall’interdipendenza fra i cambiamenti climatici e l’acqua non risiede nella conoscenza e nell’approfondimento del fenomeno e dei risvolti e neanche nella ricerca di soluzioni, ma molto più semplicemente nella presa di coscienza dell’origine antropica di questa situazione». A parlare è Riccardo Petrella, Presidente del Comitato Internazionale per il Contratto Mondiale dell’Acqua, che durante il suo intervento non ha risparmiato critiche alle politiche ambientali attuate dal Governo.
Petrella ha rilevato che quella dei cambiamenti climatici, ancor prima di essere una sfida scientifica, è essenzialmente politica, in quanto basata sulla effettiva e concreta realizzazione di queste soluzioni. Diversamente si andrebbe incontro ad una carenza di acqua impressionante: «si suppone ? dichiara ? che nel 2032 il 60% della popolazione vivrà in zone semidesertiche con scarsa presenza di acqua dolce». Eppure le soluzioni, secondo Petrella, sono a portata di mano: sarebbe sufficiente che il Governo applicasse soluzioni già esistenti e che attuasse interventi simbolici. «In ambito agricolo per esempio basta sostituire, come si predica ormai da circa 50 anni, gli attuali sistemi di irrigazione a pioggia con quelli a goccia. Per quanto riguarda i biocarburanti, è ormai assodato che rappresentano una maniera insostenibile di utilizzare l’acqua, così come sono altamente nocivi i pesticidi. Sarebbe estremamente semplice smettere di utilizzare entrambi».
Bisogna innanzitutto reinventare, sostiene, in maniera netta e precisa la finanza pubblica a livello mondiale per gestire le infrastrutture fondate sulle ragioni di mercato. Tali infrastrutture si basano chiaramente sullo sfruttamento tecnologico delle risorse, particolarmente di quelle idriche, minando in questo modo il diritto naturale all’acqua, in quanto ne producono lo scompenso e lo scarsità. «Per quale motivo – conclude ? non è stato ancora vietato l’uso delle acque minerali in


bottiglia di plastica o il trasporto di acqua a lungo raggio? chiaramente alla base di questa indecisione si trovano ragioni commerciali e un’incapacità politica di prendere decisioni corrette, nonostante si abbiano a disposizioni gli strumenti per farlo».

Superare le conflittualità per salvare le coste

«Concordo con il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ? ha dichiarato Nicola Greco, della Scuola Superiore della PA – nell’affermare che il nostro destino è operare non solo economicamente e politicamente in campo europeo, ma anche dal punto di vista progettuale, adottando politiche e regole opportune».
«Abbiamo la necessità ? ha aggiunto – di aggiustamenti profondi nella definizione delle norme che regolano il settore delle coste italiane. Un terzo di esse, si stima, è in forte arretramento e sono occupate, oggi, da una serie di attività di tipo edilizio-abitativo, a cui si aggiungono le attività portuali molto industrializzate, quelle di pesca, di distribuzione di energia, infrastrutture di trasporto e aeroportuali. Esse occupano il 51% delle aree costiere».
Sono 25.000 le aziende turistiche di medio e grande livello: a fronte di questo, nel 1942, fu predisposto il codice della navigazione, costruito affinché la linea di costa, confine della patria, avesse un regime giuridico particolare. «Il demanio marittimo – ha spiegato Greco ? appartiene tutto allo Stato, tranne in casi particolari, in cui viene destinato ad usi privati. Questa sta diventando, tuttavia, la prassi. Occorre rendersi conto del paradosso: il demanio marittimo è tutto dello Stato, ma la realtà é molto diversa. Lungo le coste ? ha aggiunto – imperano 4-5 regimi, che cercano faticosamente e silenziosamente un equilibrio tra loro: si tratta anche di porti, pesca e turismo, in perenne conflittualità. È qui che si inserisce il problema del dissesto delle coste, aggravato dal fatto che, tra il 1965 e 1985, la popolazione italiana in tali aree era già pari al 30% del totale».
Il dirigente della Scuola della Pubblica Amministrazione ha, infine, concluso: «Nel 2002 l’Unione europea ha proposto agli Stati di organizzare una motivata gestione integrata delle coste: questa é la prospettiva sulla quale stiamo operando».

Strumenti di prevenzione sanitaria

«L’attenzione di noi tutti ? ha dichiarato Roberto Bertollini, Direttore del Programma Speciale Ambiente e Salute dell’Oms Europa ? deve concentrarsi su dati empirici e fatti reali, peraltro già osservati, e su cui la società italiana e internazionale dovranno confrontarsi per disporre adeguate politiche di adattamento».
«Un esempio di quanto sta accadendo ? ha spiegato Bertollini ? è fornito dal caso della zanzara tigre, diffusasi rapidamente in tutta Italia, oltre che in alcune zone di Spagna e Olanda. Qui, l’insetto ha trovato un ambiente accogliente, grazie ai cambiamenti climatici che in questa sede stiamo affrontando. Dopo i recenti e numerosi casi di puntura dell’insetto, le autorità sanitarie hanno promosso attività di informazione piuttosto massiccia. Si tratta dell’ennesima conferma di quanto ipotizzato in passato, e cioè che l’elevarsi delle temperature portano al conseguente incremento delle patologie, in quanto gli agenti patogeni trovano nel clima


attuale le condizioni ottimali di sviluppo e diffusione».
L’esponente dell’Oms ha, poi, sottolineato la necessità di approntare un nuovo regolamento sanitario internazionale, che garantisca comunicazione e informazione su patologie che mettono a rischio la salute. «In questo contesto ? ha chiarito – è indispensabile che il Sistema Sanitario Nazionale potenzi la sorveglianza epidemiologica, con più ampio coinvolgimento dei medici di base».
«È oramai chiaro che le malattie trasmesse da vettori dipendono in modo significativo dai cambiamenti climatici. Come non ricordare l’estate del 2003, in cui un’ondata di calore portò ad un aumento di 35000 morti su quelli attesi? Da quei mesi difficili, tuttavia, scaturirono vari studi, da cui emerse una stima preoccupante: per ogni grado in più di temperatura, aumenta del 3% la percentuale giornaliera di decessi».
Bertollini ha, poi, sottolineato la necessità di politiche attente alle condizioni sanitarie di soggetti particolarmente deboli, come gli anziani e i malati cronici. Ma non solo. «Appare indispensabile potenziare i sistemi di allarme preventivo sulle ondate di calore. Esse non sono sempre uguali, per cui le loro manifestazioni possono essere diverse».
«Gli strumenti sanitari, quando efficaci, lasciano il segno: a Roma e Torino, nel 2004, la curva di aumento della mortalità correlata all’aumento temperatura appariva ai tecnici piuttosto appiattita. Ecco dimostrato che i programmi di allarme precoce funzionano. Il Sistema Sanitario ? ha concluso ? dovrebbe svolgere un ruolo più attivo, attraverso meccanismi che lo rendano più pronto e consapevole. Ho, tuttavia, constatato con rammarico che il rapporto tra cambiamenti climatici e salute è ancora vissuto con poca attenzione e messo spesso in dubbio, con un’attenzione maggiore nei confronti della terapia piuttosto che della prevenzione».

Politica utile se risolve problemi del futuro

«La politica deve indicare una strada praticabile per risolvere problemi come quello dei cambiamenti climatici, altrimenti avrà fallito il suo compito». Lo ha detto, nel moderare la sessione «Gli strumenti di adattamento» della Conferenza nazionale sui Cambiamenti Climatici in corso alla Fao, Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, il quale ha ricordato che martedí 18 settembre si terrá una sessione straordinaria di Montecitorio, dedicata proprio ai temi della Conferenza. Realacci ha aggiunto che i leader del mondo, di sinistra come di destra, hanno compreso il ruolo e l’utilità del loro lavoro, che dev’essere di affrontare le sfide del futuro e dare sicurezza ai cittadini, e «bisogna arrivare a questo livello di condivisione anche in Italia». Il problema è infatti che i cambiamenti climatici, ha ribadito il presidente della Commissione di Montecitorio, «sono un fattore oggettivo e un problema di oggi, per quanto si possano dare diverse valutazioni», quindi, pur rifiutando i catastrofismi, «occorre fare qualcosa da subito». La sfida dell’ambiente, ha detto Realacci, può essere un grande terreno di innovazione e competizione economica, tanto è vero che paesi come Germania e Inghilterra spingono per adeguarsi al più presto ai cambiamenti climatici, sapendo che chi arriva per primo avrà anche importanti vantaggi economici. Sanno, ha concluso, che «quando comincia una cena


è meglio essere tra gli invitati che non tra le pietanze».

Ignorare il problema ambientale è un crimine contro l’umanità

«Il problema dell’ambientalismo è un problema che riguarda l’intera umanità». A parlare è il Vicesindaco di Roma, Mariapia Garavaglia evidenziando come l’ambiente sia estremamente bello in termini flora, fauna e patrimonio naturale, ma contemporaneamente anche compromesso dalle emergenze. L’impegno che le amministrazioni comunali devono profondere è fondamentale in considerazione del loro stesso carattere di estrema vicinanza, di rapporto diretto con la cittadinanza. «Le amministrazioni comunali ? sostiene ? possono e devono fare molto in termine di orientamento delle scelte individuali, possono intervenire affinché queste scelte vengano interiorizzate e divengano scelte consapevoli». Il Comune di Roma si dimostra molto «sensibile» alle problematiche ambientali attraverso interventi «sostenibili», già in atto, per limitare l’impatto dell’uomo sulla natura: una delibera che prescrive che nella costruzione di nuovi edifici il 30% del fabbisogno complessivo ed il 50% della risorsa idrica provenga da fonti rinnovabili. La possibilità, inoltre, di noleggiare la bicicletta nei pressi delle fermate della linea della metropolitana e di riconsegnarla in una diversa da quella di partenza e la costruzione della terza linea della metropolitana per smaltire ulteriormente il traffico cittadino. «È necessario indirizzare la propria attenzione facendo in modo che le amministrazioni locali per prime, ma anche i cittadini, soprattutto i giovani, raggiungano una maggiore consapevolezza sulle questioni ambientali. Il lavoro svolto dalle amministrazioni deve fungere da modello comportamentale per la popolazione: sono molte ad esempio le scuole che ad oggi si servono dei pannelli solari per il riscaldamento. Non è solo tempo di agire, ma siamo già in ritardo rispetto agli altri Paesi europei: le azioni intraprese e da intraprendere devono orientare le scelte dei singoli perché ciascuno di noi è responsabile di tutto di fronte a tutti.

Steiner: L’Italia può dettare strategie sul clima

«Questa Conferenza ha un’importanza enorme in quanto l’Italia fa parte del G8, è un paese industrializzato, ha firmato il Protocollo di Kyoto e la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici: per questo può dare importanti indicazioni sulle strategie da intraprendere». È quanto ha dichiarato il Direttore esecutivo dell’Unep Achim Steiner, intervenendo oggi alla Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici in corso a Roma.
«Il 2007 ha segnato un punto di svolta sui cambiamenti climatici in quanto sono divenuti un argomento di pubblico dominio e non più ristretti alle agenzie o agli esperti del settore. In molti paesi la gente si domanda cosa stanno facendo gli Stati per arginare gli effetti del climate change». Le proiezioni dell’Ipcc si sono dimostrate vere e il prezzo dell’inazione è troppo alto per non essere considerato: «Pensiamo al costo dell’uragano Katrina, 81 miliardi di dollari, oppure ai 6 miliardi di danni provocati in Gran Bretagna in 24 ore dalle precipitazioni».
Il Direttore dell’Unep ha poi annunciato ufficialmente la prossima conferenza delle Nazioni Unite a New York il 24 settembre. In quella sede il Segretario Bank-Ki-Moon vuole lanciare una nuova concertazione fra tutti i governi ? ha dichiarato


Steiner – per far sì che l’incontro di Bali per il post-Kyoto sia proficuo e dia i risultati attesi. All’incontro dell’Onu seguirà poi a Washington un meeting organizzato dall’amministrazione Bush fra i paesi più inquinanti del mondo. «C’è da sottolineare un nuovo atteggiamento da parte degli Stati Uniti: per esempio 300 città americane si sono impegnate a ridurre le emissioni di carbonio in misura maggiore rispetto ai limiti di Kyoto. E lo stesso ha deciso di fare anche la California».
Sono tre i settori nei quali l’Unep consiglia di intervenire per ridurre le emissioni: «Aumentare l’efficienza energetica, migliorare il settore dei trasporti e quello dell’energia».

Cambia il clima, cambia il gusto del cibo

Tempo di lettura: 2 minuti

La produzione di cibo contribuisce alle emissioni di gas serra e ai cambiamenti climatici in tre modi.

Se le cause principali dei cambiamenti climatici derivano dalle emissioni di anidride carbonica provenienti dall’uso dei combustibili fossili, non meno importanti sono le cause derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso del suolo e dalla deforestazione. Le emissioni di gas ad effetto serra derivati dall’agricoltura e dalla produzione agroalimentare sono, a seconda delle pratiche agricole, a livelli compresi tra il 9% e il 15% delle emissioni totali. Ma se, da una parte, l’agricoltura contribuisce ai cambiamenti climatici, l’agricoltura è anche vittima dei cambiamenti climatici e non solo in termini di danni alle rese agricole e alla produzione agroalimentare, ma anche e soprattutto in termini di «gusto», cioè di modifica delle qualità organolettiche, degli aromi, dei profumi, dei sapori e di tutte quelle caratteristiche del cibo che dipendono dalle peculiarità del clima e delle caratteristiche ambientali del territorio, oltre che dalla tipicità dei processi di produzione e preparazione del cibo.

Con i cambiamenti del clima la produzione agroalimentare, per non essere danneggiata, sarà costretta a una serie di modifiche che possono riguardare le pratiche agronomiche, a parità di colture, oppure sarà costretta a modificare sostanziale la tipologia della produzione agricola e gli ordinamenti colturali.

Nel primo caso, che possiamo definire di adattamento congiunturale, gli agricoltori dovranno rispondere alle pressioni del clima agendo sui periodi di semina, di raccolta o delle altre lavorazioni intermedie, sulla frequenza e sulla tipologia di ricorso ai trattamenti antiparassitari o fertilizzanti, senza che vi siano rilevanti variazioni nel mix di colture presenti in azienda.

Nel secondo caso si ha invece un adattamento strutturale, e si dovrà necessariamente abbandonare alcune coltivazioni non più adatte alle mutate condizioni climatiche in favore di altre, che comunque devono rimanere altrettanto interessanti per le caratteristiche biologiche e per le mutate richieste da parte dei mercati. È evidente che nel caso di adattamento strutturale le conseguenze investono tutta la filiera agroalimentare.

Poiché i cambiamenti climatici non producono unicamente un aumento delle temperature, ma anche un’accentuazione degli eventi estremi, le coltivazioni maggiormente soggette a una serie di stress, tra cui gelate primaverili e ondate di calore, piogge intense o alluvionali intervallate da periodi prolungati di siccità, attacchi parassitari, ecc., gli adattamenti dovranno essere effettuati soprattutto ricorrendo a miglioramento genetico, andando a selezionare varietà opportunamente resistenti. Nel caso di adattamento strutturale appare evidente che le ripercussioni saranno piuttosto importanti su tutto il sistema alimentare e su tutti gli elementi collegati al settore di produzione agricola primaria.

Appare fondamentale, quindi, avviare metodi e modelli di sviluppo agricolo, agroalimentare e rurale, efficienti e meno inquinanti, inseriti in modo integrato nel contesto più generale dello sviluppo economico sostenibile e indipendente dalla combustione di combustibili fossili. Ma appare altrettanto fondamentale che i cittadini e i consumatori modifichino alcune abitudini alimentari, dalla spesa fino alla cottura dei cibi, affinché la produzione alimentare sia, da una parte meno impattante sul clima, e dall’altra, meno vulnerabile ai cambiamenti del clima compresi i cambiamenti delle caratteristiche organolettiche che determinano il gusto e che dipendono anch’essi dal clima e dell’ambiente. Che cosa possiamo fare?
Diminuire l’impatto sul clima della produzione di cibo.

Brindisi – Diminuiscono le emissioni

Tempo di lettura: < 1 minuto

Dopo quindici anni di continuo aumento, in controtendenza rispetto al resto d’Europa, le stime preliminari relative al 2006 vedono finalmente una riduzione delle emissioni rispetto all’anno precedente. Il totale delle emissioni italiane diminuirebbe quindi complessivamente dell’1,5%, anche se con andamenti contrastanti nei diversi settori. Nei 15 anni precedenti, invece di avviarsi a diminuire del 6,5% sul livello del 1990, le emissioni italiane erano cresciute sostanzialmente. L’analisi della serie storica dei dati, fino al 2005, mostra infatti un Paese che non accorcia le distanze, ma le raddoppia portando il divario con l’obiettivo Kyoto a quasi il 19%. Dal 1990 al 2005, infatti, le emissioni nazionali totali dei sei gas serra sono aumentate del 12,1% rispetto all’anno base (1990). Le sole emissioni di CO2 sono pari all’85% del totale del cocktail di gas serra, e segnano un livello superiore del 13,5% rispetto all’anno di partenza, mentre quelle relative al solo settore energetico risultano cresciute del 14,5% dai livelli del 1990.

La Dichiarazione di Anchorage

Tempo di lettura: < 1 minuto

Il Vertice si è concluso con una Dichiarazione finale, la «Dichiarazione di Anchorage», concordata per consenso dai partecipanti all’incontro, che contiene 14 raccomandazioni di azione. Con tale Dichiarazione, tra le altre cose:

? si chiede alle Parti dell’Unfccc di «sostenere obiettivi legalmente vincolanti di riduzione delle emissioni dei gas serra per i Paesi industrializzati di almeno il 45% nel 2020 e di almeno il 95% nel 2050 rispetto ai livelli del 1990»; si chiede anche di «istituire strutture e meccanismi formali per e con la piena partecipazione delle popolazioni indigene»; si chiedono, inoltre, finanziamenti adeguati e diretti da parte dei Paesi industrializzati a beneficio dei Paesi in via di sviluppo e la creazione di un apposito fondo per permettere a tali popolazioni di partecipare pienamente e in modo efficacie al processo climatico;
? si presentano due opzioni sull’uso dei combustibili fossili. La prima propone il ritiro graduale dello sviluppo dei combustibili fossili e una moratoria sullo sviluppo di nuovi combustibili sui territori indigeni o in prossimità di essi; la seconda propone un processo verso un finale ritiro graduale dei combustibili fossili, rispettando nel contempo i diritti di sviluppo delle popolazioni indigene;
? si fa appello all’Ipcc, al Millennium Ecosystem Assessment e alle altre rilevanti istituzioni a fornire supporto alle comunità indigene nelle valutazioni inerenti ai cambiamenti climatici;
? si chiede agli Stati di «riconoscere, rispettare e attuare i diritti umani fondamentali delle popolazioni indigene»;
? si afferma la disponibilità da parte delle popolazioni indigene ad «offrire all’umanità le proprie conoscenze tradizionali, le innovazioni e le pratiche rilevanti per i cambiamenti climatici, purché i loro diritti fondamentali di custodi inter‐generazionali di tali conoscenze siano completamente riconosciuti e rispettati».
Le raccomandazioni emerse saranno presentate alla 15a Conferenza delle Parti (Cop15) dell’Unfccc (Copenaghen, 7‐18 dicembre 2009).

(Fonte Focal Point Ipcc)

Le generazioni future

Tempo di lettura: 2 minuti

Noi ci stiamo comportando come una specie altamente egoista. Sembra che gli individui stiano prevalendo sui geni, e che lo scopo di ogni individuo non sia più la propagazione del genoma ma, invece, l’allungamento della propria vita, il mantenimento di una condizione fisica ottimale, e il massimo confort possibile. Le spese effettuate non sono proiettate verso le generazioni future ed il loro benessere, ma verso il benessere della generazione attuale.

Ci viene detto, ormai in modo inequivocabile, che per la prima volta i figli avranno meno possibilità di una vita agiata rispetto ai loro padri. Il miglioramento delle condizioni sociali degli individui «nuovi» sarà rallentato, a favore del mantenimento delle condizioni sociali degli individui «vecchi». Si parla di generazioni bruciate, di pensioni future che non ci saranno e di pensioni attuali che non si possono toccare.

In passato, chi viveva a lungo arrivava a superare gli ottant’anni in buona salute e poi, all’improvviso, un banale malanno metteva fine a una lunga e sana esistenza. Oggi questo non è più possibile. Una volta arrivati alla fine di una vita sana e lunga, si escogitano rimedi per ogni possibile causa di morte, e il declino fisico procede per decenni, con lenta e inesorabile perdita del controllo delle funzioni corporee, della coscienza, senza che il momento finale riesca a giungere. Sembra che la medicina abbia come scopo la rimozione di ogni causa di morte. Il che significa che ci aspettiamo l’immortalità. La salute non è il solo campo in cui il nostro infantile egoismo ci sta proponendo mete irraggiungibili.

In economia, per esempio, ci siamo prefissi la crescita come imperativo categorico. L’economia deve crescere, se smette di crescere parliamo di stagnazione, se decresce parliamo di recessione. Entrambe le condizioni sono negative: bisogna crescere. Ma la crescita infinita è come l’immortalità: non sono possibili. Chiedere questo significa bruciare tutto, vivere come se si fosse eterni e come se le conseguenze della nostra follia non dovessero arrivare mai. Magari sperando che, quando arriveranno, saremo già morti. Aspettativa puerile quando ci si attende di vivere in eterno. Tutto e il contrario di tutto, come bambini capricciosi che non sanno quel che vogliono ma… lo vogliono.

Quello che fanno gli altri

Tempo di lettura: < 1 minuto

La Francia ha dato avvio ad un sistema di disincentivi e incentivi sul prezzo delle automobili nuove, nel tentativo di promuovere veicoli a basse emissioni di gas serra.
Il ministro dell’Ecologia ha affermato che i disincentivi vanno da 200 a 2.600 euro per le auto più inquinanti, mentre gli incentivi vanno da 200 a 5.000 euro per le auto più pulite.

La Germania ha delineato un pacchetto legislativo per ridurre le proprie emissioni di gas serra del 40% nel 2020 rispetto al 1990. Il piano promuove maggiore efficienza energetica, maggiore uso delle energie rinnovabili e include una tassa della CO2 per i veicoli pesanti, leggi sul traffico e standard più stringenti per l’isolamento negli edifici. Alcuni ambientalisti sono tuttavia critici su alcuni aspetti del pacchetto.

Il Comitato per l’Ambiente e le Opere Pubbliche del Senato degli Stati Uniti ha approvato l’«America’s Climate Security Act», proposto da Lieberman e Warner, che stabilisce riduzioni obbligatorie delle emissioni dagli impianti di produzione dell’energia elettrica, dall’industria e dai trasporti.

Acqua e pesca al livello limite

Tempo di lettura: < 1 minuto

Due servizi ? la pesca e l’acqua ? hanno raggiunto un livello limite. L’intervento umano sta sottraendo acqua alle riserve idriche in una misura superiore alla loro capacità di rigenerazione. Lo stesso trend negativo si riscontra per la pesca. L’avvento della pesca industriale ha indebolito fortemente le capacità rigenerative delle specie ittiche con una conseguente riduzione del pescato, in alcune zone pari sino ad 1/10 della disponibilità originaria.

I 20 prodotti chimici da aggiungere alla lista «nera»

Tempo di lettura: 2 minuti

Compaiono pesticidi chlordecone e endosulfan, numerosi ritardanti di fiamma trattati con bromuro, perifluorinati conosciuti come Pfos e Pfoa. Il Wwf chiede che tali elementi vengano inseriti nell’elenco di quelli regolati dalla Convenzione di Stoccolma del maggio 2004

Il prossimo corso di Prato

Tempo di lettura: 2 minuti

Il 7 e 8 novembre a Prato si svolgerà lo stage in «Archeologia sperimentale sulle tecnologie della preistoria», rivolto ad archeologi, insegnanti, operatori museali, guide ambientali, animatori culturali o appassionati e riguardano la tecnologia dell’uomo nella Preistoria. Lo stage durerà dalle 9 alle 17.

All’interno di tali corsi, verranno affrontati diversi procedimenti tecnologici dei nostri antenati come:
– Riconoscere le materie prime adatte alla scheggiatura: la selce, il diaspro, l’ossidiana, le quarziti…
– Le tecniche di scheggiatura: spiegazioni delle regole che determinano la scheggiatura. Tutti i sistemi di scheggiatura, la scheggiatura diretta, indiretta, pressione e ritocco.
– La produzione sperimentale di alcuni strumenti: come il chopper, l’amigdala, la lama, il grattatoio, il bulino, il perforatore ecc.

– La produzione di cordami: Verranno realizzate cordicelle ritorcendo fibre vegetali, tendini e budella di animali.

Il fuoco: uso e vantaggi, le tecniche di accensione (con percussione e frizione).

– I colori minerali: le ocre e altri ossidi ed il loro utilizzo, con realizzazione di pennelli, strumenti per la tecnica a spruzzo, tampone  spruzzo ecc..
– La lavorazione della pelle: verrà spiegato il modo di conciare le pelli, verrà fatto vedere e provare come si raschia una pelle.
– Le armi: prove pratiche di utilizzo di armi come il propulsore e il bolas.
– La lavorazione dell’osso: presentazione e utilizzo di questa materia prima per realizzare strumenti. I partecipanti produrranno un ago d’osso per mezzo della levigazione e realizzeranno la cruna con utensili di pietra.
– I monili: realizzazione di una collana utilizzando la steatite e conchiglie fossili.

I partecipanti, al termine dello stage avranno realizzato e potranno portare via: qualche perforatore, un raschiatoio, un ago d’osso con relativa cruna, una collana con cordicella in budello, pendaglio di steatite e conchiglie tutto da loro prodotto durante lo stage,
qualche pezzo di steatite, e materiale colorante (ocra).

Gli organi dell’Iet

Tempo di lettura: < 1 minuto

L’Iet è dotato degli organi seguenti:

un comitato direttivo composto di membri ad alto livello con esperienza nei settori dell’istruzione superiore, della ricerca, dell’innovazione e delle imprese, incaricato della direzione delle attività dell’Iet, della selezione, della designazione e della valutazione delle Cci, nonché dell’adozione di tutte le altre decisioni strategiche;

un comitato esecutivo che supervisiona la gestione dell’Iet e adotta le decisioni necessarie tra una riunione e l’altra del comitato direttivo;

un direttore che rende conto al comitato direttivo della gestione amministrativa e finanziaria dell’Iet e ne costituisce il rappresentante legale.

Le molte dimensioni della foresta

0

Tempo di lettura: 2 minuti Anche la Foresta, come il mondo delle cose reali, possiede molteplici Dimensioni: benché l’Umanità non sia in grado di riconoscerne che un paio, e la teoria Einsteiniana della relatività non […]

Non puoi leggere tutto l'articolo perché non sei un utente registrato!

Registrati oppure esegui il login.

Garantire il buon vivere

Tempo di lettura: 5 minuti

L’azione di protezione di un’istituzione non è solo cognitiva, ma anche emotiva e, in questa prospettiva riteniamo che il discorso debba ruotare attorno al tema della felicità. A tal proposito è necessario liberarci di alcuni condizionamenti, contemporanei, relativi alla felicità: ci riferiamo in particolare a quattro di essi: il ritenere la felicità uno stato della mente indipendente dalla nostra volontà, più o meno sottoposto alla casualità; uno stato svuotato di qualsiasi contenuto etico e spesso legato a percorsi meramente edonistici; uno stato che difficilmente supera i confini individuali, per cui parlare di una città o di un’istituzione felice, sembra quasi senza senso; uno stato dipendente dalla disponibilità di risorse per lo più materiali.

Diversi economisti oggi mettono in dubbio l’idea che la felicità dipenda principalmente dal reddito disponibile. Essi lo ritengono valido solo per ristretti casi di reddito sotto una certa soglia, mentre, per la stragrande maggioranza dei casi, invitano a misurare la felicità partendo dagli aspetti relazionali ed istituzionali della persona.
In generale tutti gli approcci economicistici, al tema della felicità, sono veri e propri pregiudizi che non ci permettono, sia sul piano teorico sia pratico, di riscoprire percorsi di felicità, in cui il singolo e le istituzioni collaborano attivamente. Liberato il campo da questi condizionamenti, resta, tuttavia, la difficoltà a comprendere cosa sia la felicità. Il poeta Eliot (1944) scrive che, della felicità, ne abbiamo avuto l’esperienza, ma ci è sfuggito il significato (We had the experience but missed the meaning).

Per cercare di legare la felicità ad un significato, percorriamo la via della filosofia classica. Nel pensiero aristotelico, la definizione di felicità (eudaimonìa) non è molto precisa, essa spesso è il bene a cui si tende, è il fine (tèlos) della vita, è la beatitudine, è anche la prosperità. Consegue che felicità e bene sono termini interscambiabili. Tuttavia, pur in questa imprecisione, emerge con chiarezza un dato: la felicità può essere raggiunta da chi vive, secondo ragione, realizzando le virtù, perché essa è un certo tipo di attività secondo virtù completa. In altri termini è felice chi sta bene e compie costantemente il bene. La felicità che ne deriva è stabile e niente affatto facile da mutare. Essa si raggiunge quando si è adottato come proprio progetto di vita la ricerca e l’attuazione del bene per mezzo delle virtù: la felicità ci arriva a causa della nostra virtù, non del divertimento e delle attività non virtuose. Infine per Aristotele (Etica Nicomachea 1991) la felicità è considerata piuttosto attiva che passiva, cioè è impegno, è legata a qualche insegnamento o esercizio. Il collocare la felicità sul piano etico ci salva da un suo decadimento sul piano emotivo-situazionale.
In termini semplici non sono felice perché sono ricco, mi sto divertendo, non ho problemi, tutto va per il verso giusto e così via. Tutt’al più queste situazioni possono contribuire alla mia felicità, a mo’ di corona di una sostanza che è altra. Sono felice, infatti, perché faccio del bene, in forma stabile, non perché ho dei beni. Questi aiutano la mia felicità ma non sono indispensabili. Solo in quest’ottica si può comprendere il brano delle beatitudini (Mt 5): Gesù proclama beati, felici (makàrioi) coloro che vivono situazioni difficili, anche in stato di privazione di beni fondamentali. La loro beatitudine, felicità deriva, infatti, dall’essere fedeli al Regno di Dio e al bene che si sta realizzando in loro e attorno a loro. Sintesi cristiana del tema può essere considerata la posizione di Agostino (1978-1991) che spiega come la virtù abbraccia tutto il bene che si deve compiere, la felicità tutto il bene che si deve conseguire; la felicità è premio della virtù, non è dea ma un dono di Dio.

La felicità è tutt’altro che circoscrivibile all’ambito individuale, per due fondanti motivi: la felicità è della persona e questa è persona relazionale (zòon politikòn); la felicità è frutto della vita virtuosa e anche questa è intrinsecamente relazionale (politikòn). In sintesi: la felicità è della persona, ma dipende dalla qualità di vita della comunità. Infatti la polis sorge ed esiste per produrre le condizioni di una buona vita (eu zen), che in Aristotele (Politica 1991) è anche sinonimo di felice. La città (pòlis) è il luogo in cui la felicità personale è ricercata e vissuta, non luogo neutro, ma indispensabile in quanto assume lo stesso fine (tèlos) della persona, bene o felicità che dir si voglia. La comunità è anche il luogo in cui la felicità viene condivisa e rafforzata con le felicità altrui. Scriveva chiaramente Hume (1739-1740) che si potrebbe anche ottenere l’obbedienza della natura, ma resta il fatto che l’uomo rimarrà un infelice fino a quando non metterete vicino a lui una persona con cui divida la sua felicità.
È in questi elementi la radice ontologica dello stretto rapporto tra istituzione e felicità personale. Agostino (1978-1991), rifacendosi alla cultura greca, afferma che la vita felice è anche comunitaria (etiam socialem), perché quando si vuole il bene autenticamente, lo si vuole per sé come per i familiari, gli amici, i concittadini, i popoli. Ulteriore testimonianza è il riferimento de The Declaration Of Independence degli Stati Uniti d’America dove è sancito, tra i diritti fondamentali e inalienabili, quello a perseguire la felicità (the pursuit of happiness).
Il legame stretto tra felicità personale e istituzioni, tuttavia, non comporta automatismi di creazione della felicità da parte delle istituzioni; come scrive Böll (1958) la produzione di quella cosa che ha nome gioia non la si può regolare legalmente, né con leggi civili né con leggi ecclesiastiche. In questo quadro è più corretto parlare di un’azione di protezione da parte delle istituzioni nei confronti dei singoli e dei gruppi. Questa azione non ha niente a che fare con azioni di tipo sentimentalistico, vuoto, desideroso di suscitare reazioni immediate ed effimere; tutte prassi che non aiutano a crescere ed acquisire più sicurezza in se stessi e nell’istituzione.
Pensiamo a quante esperienze familiari, lavorative, associative, religiose, burocratiche o politiche hanno fatto leva su sentimentalismi futili per confermare adesioni, approvare progetti o sostenere azioni collettive, rovinando, di fatto, sia le persone sia l’intera istituzione. È sciocco attendere protezione dalle istituzioni aspettandosi da esse atteggiamenti mammisti e iperprotettivi: esse non esistono per compensare le nostre deficienze psicologiche, ma per aiutarci a diventare noi stessi in maniera adulta e responsabile. È saggio e doveroso, invece, attendersi che i membri di un’istituzione, specie i leader, abbiano una capacità empatica, cioè sappiano cogliere e leggere le emozioni personali, per poter meglio rispondere ai bisogni reali ed autentici.
L’azione di protezione, allora, va intesa piuttosto come sostegno cognitivo ed emotivo alla ricerca e attuazione del bene, al conseguimento della felicità, per cui quando la qualità di vita di un’istituzione non è sana, crea un quadro emotivo, oltre che cognitivo, negativo o almeno falso. In ambedue i casi è poco utile a trasmettere sicurezza. È necessario, allora, che una realtà familiare, lavorativa, associativa, religiosa, burocratica o politica operi con tutti i suoi mezzi e nei tempi opportuni, nel sostenere emotivamente chi cresce e si afferma come persona virtuosa. Mounier (1936) ha parlato di un apprendistato del noi che non può fare a meno dell’apprendistato dell’io, dove il primo accompagna il secondo seguendone le vicissitudini, offrendo mezzi ed esperienze che evitino gli eccessi della massificazione totalitaria, da una parte, e dell’affermazione smisurata di sé, dall’altra.
Si comprende come il sostegno superi la stretta sfera cognitiva della coerenza e della protezione delle persone integre e diventi un clima generale e diffuso che si respira nella realtà istituzionale. E sappiamo bene come il clima non è fatto solo di idee e grandi proclami, ma esso è prassi quotidiana di un’istituzione che trasmette sicurezza, perché protegge in tanti modi chi opera al meglio e coerentemente con i fini della stessa. In sintesi: garantisce, sostiene, protegge e sviluppa la vita felice e buona (eu zen).

Uomini e tecnologie

Tempo di lettura: < 1 minuto

Se riflettiamo, infatti, possono emergere fondati dubbi sia sugli effettivi benefici, che la tecnologia offre, oggi, all’uomo, sia sui suoi impatti, presunti più positivi, in favore della qualità della vita umana, rispetto a quelli generati dal lavoro affidato alla sola fatica fisica dell’uomo. L’attuale sviluppo delle tecnologie rende semplice fare moltissime cose, ma quelle essenziali per l’uomo sono poche, tutte le altre sono superflue.

Facciamo più cose di quante ne riusciremmo a fare senza il suo aiuto, ma il peso complessivo del conseguente nostro impegno di lavoro (in termini di qualità e produttività, richieste alle nostre prestazioni, e di accumulo di stress, da reggere anche fuori dagli orari di lavoro) è sicuramente molto elevato.

Tecnologie e ideologie

La febbre del Pianeta

Tempo di lettura: < 1 minuto

La temperatura in Italia è aumentata quattro volte di più che nel resto del mondo, ha ricordato il ministro Pecoraro Scanio.
«Già ora la temperatura in Italia è aumentata quattro volte più rispetto al resto del mondo già ora le piogge diminuiscono, del 5% nell’ultimo secolo, gli episodi di siccità si moltiplicano, la desertificazione sta diventando un problema non solo per il Sud ma per la Pianura Padana. I nostri ghiacciai hanno perso metà del volume, e un chilometro su tre delle nostre coste basse è in arretramento. Il Po, come tutti i fiumi italiani, sta subendo riduzioni progressive delle portate medie mentre aumenta la variabilità tra piene e secche».

Alcuni casi studio

Tempo di lettura: 6 minuti

Ogni area in Europa dove il problema della salinizzazione si è presentato ha delle sue peculiarità sia in relazione alle differenti pressioni che le attività dell’uomo esercitano sulle risorse idriche sia relativamente alle condizioni idrogeologiche e climatiche che diminuiscono od aumentano il rischio. Nel seguito riportiamo tre situazioni molto differenti dove in alcuni casi l’intervento dell’uomo è riuscito a controllare, almeno parzialmente, il fenomeno.

Salinizzazione in Spagna: gli acquiferi costieri del fiume Vélez

L’acquifero fluvio-deltizio del fiume Vélez è situato nel litorale mediterraneo dell’Andalusia, Spagna, e si estende lungo il settore più basso di uno spartiacque di 610 km2. L’economia di questa regione è basata sul turismo e sull’agricoltura (soprattutto coltivazioni subtropicali e fuori stagione). La superficie di irrigazione ammonta a circa 40 km2. La popolazione dell’area è di poco più di 60.000 persone, ma raggiunge i 150.000 residenti durante il periodo estivo.
Il clima della zona è tipicamente Mediterraneo. La temperatura media staziona intorno ai 18 ºC e la precipitazione media è di circa 600 mm/anno; il periodo delle piogge si concentra tra novembre ed aprile. Le precipitazioni risultano altamente variabili e limitate in presenza di fabbisogni idrici elevati.
Nella parte superiore del bacino, le rocce di carbonato fratturate compongono un acquifero drenato da numerose sorgenti situate lungo i suoi bordi che formano il deflusso di base del fiume Vélez.
Nella parte costiera dello strato acquifero, i limi e le argille sabbiose, a bassa permeabilità, formano un’elevazione nel substrato che ha un’altezza vicino al livello del mare. Di conseguenza, è possibile distinguere due settori dello strato acquifero: il settore fluviale ed il settore costiero. I due settori possono diventare indipendenti durante i periodi di siccità, causa l’abbassamento della piezometria. Questa situazione è positiva da un punto di vista idrologico poiché ostacola l’intrusione dell’acqua salata nell’asta fluviale.
L’acquifero viene ricaricato principalmente dal deflusso dei fiumi Vélez e Benamargosa, in parte minore da acque di irrigazione. Durante gli anni 70 ed 80 la domanda idrica è stata soddisfatta dall’impiego di pompe per l’estrazione delle acque sotterranee. Allo stesso tempo, è stata concepita un’alternativa mediante lo sviluppo di un sistema di serbatoi .
Dall’inaugurazione del serbatoio di La Viñuela nel 1989, che ha ridotto il deflusso superficiale, l’acquifero costiero ha registrato una diminuzione della sua capacità di ricarica. Questo fatto, insieme alla scarsità delle precipitazioni registrata nella prima metà degli anni 90 e all’aumento delle estrazioni di acqua di falda, ha condotto ad una diminuzione considerevole dei livelli piezometrici dell’acquifero. Durante l’estate del 1995 è stato registrato un significativo avanzamento del cuneo dell’acqua salata e la scarsità di acqua causata dalla siccità è stata aggravata dal deterioramento della qualità delle risorse idriche, causando problemi nel rifornimento urbano e danni alla produzione agricola.
L’incremento di precipitazioni registrato durante il periodo 1996-1998, ha migliorato questa situazione. Nella primavera del 1998 il volume di acqua nel serbatoio di La Viñuela ha quasi raggiunto la capienza massima, determinando così il risollevarsi dei livelli piezometrici e il rientro del


cuneo dell’acqua salata. Negli ultimi anni, il serbatoio ha fornito acqua sia per l’irrigazione sia per l’uso urbano, in questo modo si è potuta arrestare l’estrazione delle acque sotterranee.
Attualmente, l’acquifero non presenta un’intrusione di acqua marina significativa, ma per tenere sotto controllo questo problema, si effettua il rilascio di una certa quantità di acqua dalla diga allo scopo di mantenere uno deflusso sotterraneo adeguato verso il mare.Salinizzazione a Cipro: la penisola di Akrotiri

L’acquifero di Akrotiri, situato in una penisola del sud di Cipro è delimitato a nord da catene montuose, a sud da un lago salato, ad est ed ovest dal mare Mediterraneo. Il clima è semiarido, caratterizzato da un’evaporazione che raggiunge livelli due volte più elevati rispetto alle precipitazioni (450 mm/anno), situazione tipica di molte aree costiere mediterranee.
Estendendosi per 42 km2. è il terzo acquifero di Cipro ed il più importante dell’area poiché, oltre a soddisfare il fabbisogno idrico degli agricoltori locali, assicura una consistente porzione delle risorse idriche necessarie alla città di Limassol, ai piccoli centri locali ed alle vicine basi militari.
L’acquifero presenta gravi problemi relativi alla qualità e quantità delle acque. Tali criticità ostacolano lo sviluppo e la crescita economica, nonché minano la sostenibilità della produzione alimentare di lungo termine. Infatti, dopo la costruzione della diga sul fiume Kouris, nel 1987, il ricarico naturale dell’acquifero è diminuito significativamente, causando un abbassamento del livello dell’acqua che non è stato possibile colmare neppure durante la stagione delle piogge. Questa situazione, insieme allo sfruttamento dell’acqua freatica per l’irrigazione, ha causato l’intrusione di acqua marina, soprattutto nella parte occidentale della penisola. In aggiunta, la qualità dell’acqua sotterranea sta deteriorandosi sempre più a causa di un massiccio impiego di fertilizzanti ed antiparassitari. Nell’acquifero di Akrotiri si contano circa 620 pozzi, ma la maggior parte di questi sono stati abbandonati a causa della progressiva salinizzazione. Dal 1940, sono stati estratti ingenti quantità di acqua per il consumo domestico e l’irrigazione (in media 14 milioni m3/anno fra il 1967 ed il 1977);
L’avanzamento del cuneo salino è un fenomeno registrato a partire dalla fine degli anni 80, specialmente nell’area occidentale, caratterizzata da livelli di salinità intermedi, che si estende fino a raggiungere la zona degli agrumeti.
Recentemente, il governo cipriota ha indicato l’acquifero di Akrotiri come «Zona Vulnerabile ai Nitrati» ed ora è consentita soltanto un’estrazione limitata e tutti i pozzi sono stati dotati di contatori d’acqua allo scopo di permettere una gestione efficiente e sostenibile dell’acquifero. Per mitigare gli effetti negativi della carenza idrica e del deteriorarsi della qualità dell’acqua, si provvede al ricarico artificiale dell’acquifero, effettuato dalla diga o dagli impianti fognari, ogni volta che si registrata un eccessivo livello di acqua nella diga di Kouris o in quella più piccola di Yeramasoya, durante la stagione invernale.

Salinizzazione in Italia: la piana di Licata in Sicilia

? Licata si trova in Sicilia, una delle regioni maggiormente colpite dai processi di desertificazione in


Europa,
? Salinizzazione ed erosione rappresentano i principali processi che colpiscono l’area e sono strettamente connessi con l’intensità del land use,
? L’espansione delle serre per la produzione di ortaggi di elevata qualità per il mercato nazionale ha notevolmente fatto crescere l’estrazione d’acqua sotterranea, fin dal 1960, raggiungendo livelli critici
? Attualmente l’agricoltura intensiva è l’attività economica più importante della zona, mentre il progressivo sviluppo del turismo contribuisce ad aumentare il consumo di acqua
? Gli agricoltori hanno sviluppato un mix di strategie per conservare il loro reddito ed affrontare/convivere con la bassa qualità dell’acqua.

La piana di Licata è una zona a coltivazione intensiva ubicata nella provincia di Agrigento (Sicilia). L’economia locale è basata principalmente sulla produzione orticola e, specificamente, sulla produzione di meloni, pomodori, zucchini e carciofi.
La piana di Licata fa parte del bacino del fiume Imera Meridionale, che attraversa la parte centrale della Sicilia, caratterizzata da terreni naturalmente salini. Il fiume presenta forti variazioni di salinità stagionali e per lunghi periodi le acque non possono essere impiegate per l’irrigazione a causa degli elevati livelli di salinità. Nella piana di Licata esistono più di 2.000 pozzi, autorizzati e non, utilizzati per irrigare le serre permanenti o provvisorie (tunnel temporanei). Nel 2004, il livello medio di ECw misurato in oltre 100 pozzi era di 5,9 mS/cm, un livello al quale è molto difficile utilizzare le acque per l’irrigazione.
Questo elevato livello di salinità influenza la produttività delle colture irrigue e, in una prospettiva di medio-lungo termine, contribuisce alla salinizzazione secondaria del suolo. A Licata, dopo oltre 40 anni di uso intensivo di acque con elevato contenuto salino, l’attività agricola prosegue ancora grazie alle tecniche di aridocoltura e ad una serie di accorgimenti che gli agricoltori impiegano per evitare l’accumulo di sali nel suolo. Gli agricoltori di Licata si sono via via adattati alla crescente conduttività dell’acqua e all’accumulo di sali nei suoli con un insieme di strategie che includono la scelta di colture e varietà più tolleranti, rotazioni tra colture irrigue e non, metodi di irrigazione, raccolta acque piovane e stoccaggio dell’acqua, costruzioni di pozzi più profondi, impianti aziendali di desalinizzazione.
La perdita produttiva dovuta all’impiego di acque salmastre è parzialmente compensata dalla migliore qualità dei prodotti che si avvantaggiano proprio dell’impiego di acque moderatamente saline le quali contribuiscono alla qualità organolettica del prodotto finale, in particolare il melone cantalupo ed i pomodorini locali, che spuntano migliori prezzi sui mercati nazionali.
Nonostante la lunga esperienza dei singoli agricoltori nel gestire la risorsa idrica, negli anni in cui si è avuta una forte diminuzione delle precipitazioni, con prolungati periodi di siccità, non è stato possibile proseguire nella produzione e chi lo ha fatto impiegando acque salmastre, sperando poi nell’azione dilavante delle piogge ha visto le proprie colture deperire per l’elevata salinità accumulatasi nei suoli con danni che si sono prolungati nel tempo.
Nessuna opzione messa in campo dal singolo agricoltore, da sola, è in grado di garantire stabili livelli di produttività e di reddito.


Un sondaggio sulle strategie di adattamento e mitigazione è stato realizzato, insieme alla valutazione della estensione spaziale del fenomeno, nel quadro del progetto italiano Riade sulla desertificazione. Si è osservato che prevalgono soprattutto le iniziative individuali alcune delle quali possono nel breve periodo consentire di continuare la produzione, come ad esempio la costruzione di nuovi pozzi per intercettare la falda più profonda la cui qualità è temporaneamente migliore, nuovi laghetti di stoccaggio o la dotazione di impianti aziendali di desalinizzazione ma mancano, anche a causa della estrema frammentazione delle proprietà agricole, azioni di consorzi di agricoltori o interventi pubblici che possano ovviare in modo non occasionale al problema come visto negli esempi di Cipro e in Spagna.

Nella Figura 5 la Carta della piana di Licata che mostra la distribuzione spaziale della conduttività elettrica, mS/cm (le parti rosse indicano le zone con alti livelli di salinità)

Il singolo agricoltore, spesso dotato di sistemi portatili di misura della conducibilità delle acque, è depositario di una grande esperienza che gli consente di continuare a produrre utilizzando tutte le tecniche citate ma la prospettiva di alcune aree della piana, dove i suoli sono meno permeabili e più soggetti ai processi di accumulo dei soluti, è quella dell’abbandono delle coltivazioni per l’impossibilità dei suoli di sostenere la crescita delle colture.

Action Plan

Tempo di lettura: < 1 minuto

Lo strumento del Piano d’Azione (Action Plan) nasce nei Paesi anglosassoni (in special modo in Gran Bretagna) e permette di elaborare strategie mirate di conservazione della natura che siano adeguate alle realtà territoriali e socio-economiche. Il Piano d’Azione è poi divenuto strumento adottato in molti Paesi dell’UE e dalla stessa Commissione europea.
Quest’ultima ha tracciato le sue linee strategiche di conservazione della biodiversità sul territorio dei Paesi membri e su quello dei Paesi candidati, elaborando il Bap (Biodiversity Action Plan) per molti settori socio-economici portanti per l’UE (ad es.: pesca, agricoltura, infrastrutture).
Da poco l’Italia ricorre ai Piani d’Azione, che utilizza soprattutto per la conservazione di specie animali e vegetali, meno per la conservazione ed il miglioramento dello status di habitat naturali e seminaturali. In questo senso diventa importantissima l’opportunità data dalla Misura 1.6 – Linea d’intervento 2) del Complemento di Programmazione del Por Puglia 2000-2006 per sperimentare nuove forme di programmazione e gestione territoriale mirate e concrete, oltreché condivise a livello locale. (F.D.T.)

Perché un corso di formazione per docenti

Tempo di lettura: < 1 minuto

Educare all’acqua come bene comune, al Nord come al Sud, può essere un primo momento per riconoscere la ricchezza di questa risorsa e promuovere una più ampia conoscenza, sensibilizzazione e partecipazione da parte di tutti, in particolare delle scuole di ogni ordine e grado.
Per questo il corso prevede il coinvolgimento a livello nazionale di insegnanti, educatori ed operatori coinvolti nei processi formativi, offrendo loro la possibilità di entrare nel mondo della solidarietà e di diventare protagonisti nella costruzione di un grande progetto che coinvolge per la prima volta oltre 10 Ong associate al Cipsi.
La scelta di proporre un corso di formazione basato su Internet non è legata solo all’opportunità di favorire la partecipazione di insegnanti provenienti da ogni regione italiana, ma intende anche diffondere le nuove tecnologie di comunicazione a livello formativo e didattico, favorendo così una precisa scelta cooperativa e collaborativa.